Magro come un chiodo ma pieno di energie, Graziano Delrio è onnipresente e dichiara, dichiara, dichiara. Nel weekend testé concluso, il ministro Pd per gli Affari Regionali ha battuto i precedenti record illustrando in ogni sfumatura il suo provvedimento che svuota di funzioni le Province italiane e le riduce a larve. Al solito, Delrio usa il tono perentorio di chi sa il fatto suo.
Il cinquantatreenne ministro ed ex sindaco di Reggio Emilia è quel che si dice un tipo antiproblematico. Ha convinzioni su tutto, di tutto parla e si contraddice senza rimorsi. In marzo, quando non immaginava di diventare ministro, disse: «L'idea di un governicchio sostenuto dagli stessi onorevoli del Pdl che hanno occupato il tribunale di Milano, mi fa sorridere. L'unica soluzione è rivotare a ottobre. Altre soluzioni non ci sono». Un mese dopo, con Enrico Letta alle porte, dichiarò: «C'è bisogno di un governo che affronti le emergenze del Paese e sarebbe da irresponsabili tornare alle urne». Difatti, è tranquillamente entrato nel governo a fianco dei colleghi del Pdl che manifestarono a Milano. Stessa persona, tesi opposte. Così, ha spesso invocato meno tasse, per poi criticare l'abolizione dell'Imu, l'unica tolta.
Graziano, detto Cido negli ambienti parrocchiali di Reggio Emilia di cui è da sempre assiduo, è un simpatico Giamburrasca con barbetta. Gode a mettere i piedi nel piatto e a fare dichiarazioni che mandano in bestia. Le stilettate, apparentemente casuali, sono in realtà dirette a gente del suo mondo - sinistra e cattolici - per motivi che capiscono solo loro. Un mese fa mise quasi in crisi il governo definendo insensato l'acquisto degli F35. Il bersaglio era il ministro della Difesa, Mario Mauro, favorevole agli F35 e cattolico di obbedienza ciellina, ossia agli antipodi del dossettismo (dal monaco e politico dc, Giuseppe Dossetti) professato da Delrio. Come dire: tu di Cl sei guerrafondaio; io, cristiano sociale, sono irenista. Quando il segretario Pd, Pier Luigi Bersani, propose Franco Marini per il Colle, Graziano si schierò invece per Prodi contribuendo al casino istituzionale che ha propiziato il bis di Napolitano. D'altronde, non stravede per Bersani (robe tra emiliani) e alle primarie ha votato Matteo Renzi di cui oggi è considerato un alfiere. Malgrado il suo grilloparlantismo, Cido non è però mai spocchioso, neppure con gli avversari del centrodestra. Tanto che quando si è posto il problema dell'incompatibilità tra ruoli di ministro e sindaco, diversi del Pdl erano favore del doppio incarico, vietato però per legge.
Insomma, Delrio è di buon carattere senza il quale mai avrebbe potuto convivere con i nove figli che ha messo al mondo, neppure con l'aiuto della moglie Annamaria, compendio di virtù materne. L'ha impalmata a ventidue anni poiché portava in grembo il primo marmocchio. Giunti al nono hanno detto basta perché, nel frattempo e in rapida successione, erano morti i nonni che tanto avevano contribuito alla cura del vivaio. Come ha raccontato Graziano, sempre in vena di confidenze, ci vuole metodo per organizzare una famiglia scalettata tra universitari e poppanti. «Gli orari in cui ci si alza sono diversi. Alle 6,30 io, mia moglie e i più piccoli. I grandi che vanno all'università si alzano un po' più tardi. Anche troppo, forse...». Per soddisfare tante bocche un chilo di pasta è sufficiente, mentre per «sparecchiare si fa a turno anche se bisogna scriverli». «Le decisioni sono prese insieme discutendo con i più grandi. Ma anche i piccoli possono partecipare, contribuendo alla vita della comunità». Dice «comunità», non famiglia, come se lui e i suoi fossero camaldolesi.
Questo personaggio originale nasce da lombi modesti. A tal punto che un avo, per sprovvedutezza, dichiarò all'anagrafe di chiamarsi Delrio, tutto unito, anziché Del Rio, staccato, come avrebbe dovuto. E così è rimasto. Il padre, gramo imprenditore edile, aveva solo la terza media e ci teneva che il figlio studiasse. Era comunista e sui preti la pensava come Peppone. Graziano però crebbe in parrocchia e ne fu impregnato. La sua era quella di San Pellegrino, nella periferia di Reggio Emilia dove abitava. La guidava don Giuseppe Dossetti jr, omonimo e nipote del già ricordato dc. Anche lui, come il congiunto, era (ed è) un cattolico democratico, cioè di sinistra. Di qui, scaturisce il Delrio che conosciamo, compresa la prolificità caratteristica dei parrocchiani di don junior. Uno di loro, il noto architetto, Osvaldo Piacentini, lasciò morendo dodici orfani. In parrocchia, Delrio ha dato i primi calci al pallone, diventando un promettente mediano. Fece anche con successo un provino col Milan. Ma un po' perché era interista e un po' per gli studi, si è accontentato di giocare nel Montecavolo, romantico nome di una squadra locale. Questi trascorsi spiegano perché Letta, messa alla porta Josepha Idem, abbia affidato a lui la delega allo Sport.
Delrio si è laureato in Medicina e per anni ha carezzato l'idea di diventare un nome dell'endocrinologia perfezionandosi a Tel Aviv e in Inghilterra e occupando un posto di ricercatore nell'università di Modena e Reggio. La politica lo ha afferrato con la seconda Repubblica, alle soglie dei quarant'anni. Comunista non era e democristiano non voleva essere. A stuzzicarlo è stato prima il Ppi, modesto succedaneo della Dc voluto da Mino Martinazzoli, poi la Margherita. Così, tra un figlio e l'altro, divenne consigliere comunale, poi regionale mentre gettava alle ortiche le velleità accademiche. Entrato nelle grazie di Pierluigi Castagnetti, il principale politico margheritino dei luoghi, tentò il colpo gobbo: diventare il primo sindaco non comunista di Reggio Emilia che nel dopoguerra era sempre stata guidata dai rossi. Gli ex comunisti, nonostante l'alleanza Ds-Margherita, si opposero a lungo alla candidatura, cedendo solo in extremis. Eletto nel 2004 con buon margine, Graziano proclamò che avrebbe preso a modello Giorgio La Pira, sindaco dossettiano di Firenze mezzo secolo prima. Basterà sapere, per capirne i gusti, che La Pira, detto «il sindaco santo», aveva le visioni e parlava con gli angeli.
Vinta la sfida con gli ex Pci e rieletto nel 2009 per un mandato bis, ne lanciò una seconda nel 2011 per diventare presidente dell'Anci, cioè primo sindaco d'Italia. D'Alema e Vendola, contrarissimi, gli opposero Michele Emiliano, sindaco di Bari. Delrio prevalse anche con il voto di vari sindaci Pdl e divenne un divo.
I talk show se lo contesero per la barbetta e la parlantina. Un po' parlava per sé, un po' in nome di Renzi, tant'è che Letta si è detto: «Sta a vedere che è uno che conta!» e lo ha fatto ministro, tra dubbioso e incuriosito. Noi, con lo stesso spirito ne abbiamo scritto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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