«Lo dicono periti e ambientalisti: a Taranto troppe verità nascoste»

La sentenza contro l'Ilva di Taranto è già stata scritta nel 2007 in un libretto per i fanciulli, Le sirene e il mostro d'acciaio, dove si racconta che «c'era una volta una città magica e incantata, come se Gesù l'avesse baciata» e «le strade erano piene di bambini che giocavano a rincorrersi». «Un brutto giorno, però, arrivarono degli uomini, tutti d'acciaio» che «iniziarono a costruire delle strane case, tutte di ferro e acciaio. Era la fabbrica! Un'intera città di ferro!». A questo punto, per rendere più plasticamente l'idea, l'editrice Scorpione ha inserito una pagina a tre ante che si spalanca su un inferno di ciminiere; sembrano altrettanti camini di Auschwitz, vomitano lingue di fuoco e pennacchi (...)

(...) di fumo. «E così il cielo era sempre scuro e la gente si ammalava». Ma poi per fortuna arrivò «Eolo, il Dio del vento, che, commosso dal pianto dei bambini, decise di intervenire con la sua potenza. “Adesso basta!” tuonò con voce grave. Col mio soffio spegnerò le ciminiere, porterò via i fumi e manderò a casa gli uomini d'acciaio!».
S'ignora se quel dio - qui con l'iniziale minuscola - fosse un magistrato. Sta di fatto che il libriccino si apre con la prefazione di Francesco Sebastio, il procuratore capo della Procura tarantina che ha chiuso l'Ilva e mandato a casa Emilio Riva, 86 anni, l'ex robivecchi dai nervi d'acciaio fondatore del primo gruppo siderurgico italiano. Nel senso che l'ha messo agli arresti domiciliari e ce lo tiene da quasi sei mesi. Per intuire in quale modo sarebbe andata a finire, bastava saper leggere fra le righe del «documento di grande rilievo», così il procuratore definisce La sirena e il mostro d'acciaio, che si conclude «con la vittoria del bene sul male». Contro questa sentenza già scritta, l'incarnazione del male vorrebbe combattere in prima persona, come ha fatto per oltre 60 anni con sindacalisti e magistrati. Ma non può: dal 26 luglio Riva è recluso nella sua villa di Malnate, 8 chilometri da Varese. Per cui deve parlare attraverso il difensore, l'avvocato Marco De Luca, l'unica persona, a parte i familiari conviventi, autorizzata a incontrarlo.
Le risulta di altri imputati che siano privati da 173 giorni della libertà a 86 anni suonati?
«Non nel mondo civile, che io sappia».
Come socio di maggioranza dell'Ilva quali reati potrebbe reiterare Riva, o quali prove potrebbe inquinare, per essere tenuto agli arresti?
«Nessun reato e nessuna prova. Dal 2010 è fuori dall'Ilva, non ha compiti né di amministrazione né di gestione. Quindi non esiste alcuna ragione per la misura cautelare dei domiciliari».
Le accuse contro Riva sono di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, corruzione in atti giudiziari. Si dichiara colpevole di qualcuna di esse?
«No, le respinge con sdegno in blocco. Incluse le contravvenzioni ambientali. Ma ciò che dice Riva ha poca importanza. Quelli che contano sono i pareri dei periti Mauro Sanna, Roberto Monguzzi, Nazzareno Santilli e Rino Felici, nominati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco. I quali, a proposito delle emissioni inquinanti, hanno escluso violazioni delle leggi».
Non mi pare d'aver letto nulla di simile sui giornali.
«Si figuri se i giornali scriverebbero mai che i quattro consulenti dell'accusa hanno dato ragione a Riva. Il giudice Todisco aveva posto loro vari quesiti. Il più importante era il quarto, volto ad accertare se l'Ilva spargesse nell'aria diossine e altri inquinanti oltre i limiti in vigore. Risposta dei periti: “Concentrazioni inferiori ai valori di riferimento”. Per gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici, i quattro luminari hanno attestato che le analisi e i monitoraggi indicano “concentrazioni inferiori ai valori obiettivo previsti dalle norme per la qualità dell'aria”. Per le diossine e i metalli, i controlli “non hanno evidenziato concentrazioni di inquinanti superiori a quanto previsto dal decreto legislativo 152 del 2006”. Tutte conclusioni ribadite nell'udienza con giudice, pubblico ministero e difesa, nel corso della quale il perito Felici ha dichiarato a verbale: “Per quanto riguarda il quarto quesito, noi abbiamo risposto che l'Ilva rispetta le normative”».
E dire che è il perito del tribunale, non dell'Ilva.
«Non basta: Felici ha anche aggiunto che “l'Ilva rispetta tutte le prescrizioni dell'Aia”, autorizzazione integrata ambientale. È grazie a un'Aia che l'acciaieria di Taranto è tornata a produrre, sia pure a scartamento ridotto, dopo il decreto con cui il governo Monti ha rimesso in funzione l'impianto che era stato sequestrato dal Gip. Quanto alle diossine, per le quali non esistono limiti di legge, il perito Monguzzi ha dichiarato che “secondo la letteratura scientifica sono valori entro i limiti accettabili”. Richiesto di specificare se tali valori siano elevatissimi, elevati, medi o bassi, Monguzzi ha risposto: “Medio-bassi”. Sulle emissioni di polveri, il suo collega Felici ha spiegato che gli impianti “stanno abbondantemente dentro” i parametri previsti dalle normative vigenti».
Per la legge le diossine sono salubri?
«Ripeto: non vi sono limiti di legge per quanto concerne l'aria. E come potrebbe essere altrimenti? Le diossine sono ubiquitarie, si trovano dappertutto, e in concentrazioni assai più elevate che a Taranto. A cominciare da casa sua: basta che lei fumi una sigaretta o cuocia una bistecca alla piastra».
Non ci sono soltanto le diossine, i metalli e gli Ipa. L'Ilva diffonde nell'aria anche il materiale particolato Pm 10, le cosiddette polveri sottili, che finiscono nei polmoni.
«La legge fissa un tetto di 50 microgrammi di Pm 10 per metro cubo d'aria, con una media annua di 40. Sono consentiti 35 superamenti. Ebbene, il rapporto Mal'aria di città 2012 di Legambiente, nostra contraddittrice, prende in esame 55 capoluoghi: Taranto figura al 46° posto di questa graduatoria nazionale dell'inquinamento. Al primo c'è Torino: la peggior stazione di rilevamento, quella posizionata presso l'istituto Grassi in strada dell'Aeroporto, ha registrato 158 superamenti. Segue Milano, con la centralina di via Senato: 131. A fondo classifica troviamo Taranto, via Machiavelli: 45. Appena 10 superamenti, rispetto ai 35 concessi dalla legge, nel punto più inquinato della città, contro i 123 di Torino, i 96 di Milano, i 95 di Verona, i 90 di Alessandria, gli 86 di Monza, gli 82 di Asti, i 78 di Brescia, i 77 di Vicenza».
Ma allora perché a luglio l'Ilva è stata chiusa dalla Procura di Taranto e sono scattate le ordinanze di custodia cautelare per Emilio Riva, per i suoi figli Fabio e Nicola e per cinque dirigenti?
«Perché, secondo la magistratura, nell'acciaieria non si adottano le migliori tecnologie. Quelle decise da un comitato dell'Unione europea. E qui siamo all'assurdo, visto che proprio i Riva hanno partecipato ai lavori del comitato che doveva definirle. Solo che queste tecnologie sono state approvate nel febbraio 2012, con applicazione a partire dal 2016. Ammetterà che era un po' difficile installare appena sei mesi dopo, e soltanto a Taranto, qualcosa che ancora non esiste in nessun Paese d'Europa. Senza contare che la cancelliera Angela Merkel ha già fatto sapere che la Germania non si adeguerà a queste misure prima del 2018».
Il ministro della Salute ha sostenuto che a Taranto si registra un incremento del 30% dei tumori femminili e del 14% di quelli maschili.
«Le statistiche epidemiologiche dei periti Francesco Forastiere, Annibale Biggeri e Maria Triassi, pure questi nominati dal Gip, riguardanti i quartieri Tamburi e Borgo, i più vicini all'Ilva, sono tarate sulle linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità, che auspicano una media annuale di 20 microgrammi di polveri sottili per metro cubo d'aria contro il limite di 50 stabilito dalla Ue e dall'Italia. È risultato che dal 2004 al 2010 le centraline più calde, in via Archimede e in via Machiavelli, non hanno mai superato il valore di 34,9, di cui però soltanto 8 microgrammi provenienti dall'Ilva e il resto dal traffico veicolare e dalle caldaie per il riscaldamento».
Sconcertante.
«Non è finita. Si dà il caso che il professor Biggeri, ordinario di statistica medica, in Puglia invochi i 20 microgrammi delle linee guida dell'Oms, però abbia firmato una valutazione dell'impatto da particolato sottile in Lombardia nella quale prende atto di un'evidenza scientifica: “L'obiettivo della soglia Oms di 20 microgrammi è tuttora irraggiungibile”. Insomma, a Taranto il perito ragiona in un modo, pretendendo dall'Ilva l'impossibile, a Milano in un altro. Le pare che il premier Mario Monti avrebbe riaperto l'acciaieria col decreto “Salva Taranto”, controfirmato dal capo dello Stato, se vi fossero stati i morti per strada? Ma andiamo! È un insulto all'intelligenza».
Concita De Gregorio, ex direttore dell'Unità, ha scritto sulla Repubblica che i tarantini «non possono mangiare il formaggio delle loro pecore né le cozze del loro mare».
«Al netto del terrorismo psicologico, di vero c'è solo che il fegato degli ovini e dei caprini non è in grado di metabolizzare la diossina. Ma questo vale per le pecore pugliesi come per quelle sarde, bretoni o irlandesi».
Ha anche scritto che «il “minerale”, così lo chiamano le vedove analfabete, a chili si accumula nero sotto le loro scope».
«E per fortuna, aggiungo io, anche se parlerei più di grammi che di chili. Significa che quelle raccolte sui balconi sono polveri pesanti, non sottili, dunque non finiscono nei polmoni. Il Pm 10 che si respira in via Senato a Milano mica lo vedi».
Perché Emilio Riva, un anticomunista, in passato ha finanziato con 110.000 euro le campagne elettorali di Pier Luigi Bersani?
«Dovrebbe chiederlo a lui, se fosse a piede libero. Gli sarà simpatico».
Però agli atti è depositata una lettera scritta da Riva a Bersani per chiedergli di fare pressioni su un senatore del Pd, Roberto Della Seta, ambientalista avversario dell'Ilva.
«Quella lettera, di cui Fabio Riva parla in una telefonata col padre intercettata il 29 settembre 2010, aveva un tenore ben diverso: contestava le “falsità assolute” diffuse da Della Seta sull'inquinamento da benzopirene»
Il benzopirene è molto pericoloso.
«Sì, e l'attuale limite di accettabilità è di un 1 nanogrammo per metro cubo d'aria, rispetto al quale in passato all'Ilva si sono avuti tre sforamenti minimi: di 1,014, di 1,13 e di 1,80. C'è però un dettaglio: tale limite è in vigore dal 31 dicembre scorso, quindi lo stabilimento era in regola al momento degli arresti».
Se i Riva si sono impegnati a investire 4 miliardi di euro per bonificare l'impianto di Taranto, significa che inquina parecchio, non crede?
«Le acciaierie sono industrie sporche per definizione, lo sa il mondo intero, ma tra sporcare e uccidere c'è una bella differenza. Quello che non si sa è che i Riva non hanno mai prelevato un euro dall'Ilva. Tutti gli utili sono sempre stati reinvestiti nell'azienda: finora già 5,5 miliardi in tecnologie innovative e 1,2 miliardi in difesa ambientale».
In che modo finirà questa vicenda?
«In gloria. Come tutte le vicende giudiziarie fondate sul nulla».
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

segue a pagina 19

di Stefano Lorenzetto

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