Il tema del lavoro ancora una volta divide la sinistra. Ad accendere le polveri è Nichi Vendola: “Io non do consigli ad Epifani, dico solo che sono di sinistra e se non vengo al corteo della Fiom non so dove altro potrei andare”. Il leader di Sel punta il dito sull’assenza del segretario del Pd alla manifestazione dei lavoratori guidati dal sindacato di Maurizio Landini. A peggiorare le cose ci si mette Sergio Cofferati: “Avrei sperato che il mio partito ci fosse”, dice con amarezza l’esponente del Pd ed ex segretario della Cgil.
I democratici cercano di trovare il proprio centro di gravità permanente, ma le difficoltà non mancano. E non è facile tenere ferma la rotta quando vieni a sapere che il fondatore, Romano Prodi, accarezza l'idea di mollare la scialuppa (lo avrebbe confidato lui stesso a un suo collega professore). Il segretario pro tempore Epifani cerca di barcamenarsi tra l'esigenza di traghettare il partito verso il congresso d'autunno e la necessità di sostenere Enrico Letta, attutendo i colpi “mediatici” messi a segno da Berlusconi (vedi successo sull'Imu). Essere di lotta e di governo è un'impresa tutt'altro che facile. Il Pd giocoforza deve provare a uscire dall'angolo e a tale scopo è prioritario smettere di giocare di rimessa (ad esempio ricordando a ogni piè sospinto che quella dell'Imu è una vittoria “solo” del Cavaliere). Servono nuove idee e nuove battaglie. E anche nuove speranze (o sogni). Il "yes we can" di obamiana memoria. Anche se in Italia, dice Matteo Renzi con amarezza, "spesso c’è il contrario di yes we can, il contrario delle possibilità, delle opportunità...".
Capitolo segreteria. Renzi si è defilato già da tempo. A giocarsi la leadership dovrebbero essere l'ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e l'ex ministro del governo tecnico Fabrizio Barca. Quest'ultimo dal suo blog dice di volere "un'organizzazione flessibile dei cittadini". Ma di cosa si tratta? "Né l'apparato antico dei partiti di massa né il partito che si mobilita solo ogni cinque anni per le primarie - copia deforme dei partiti statunitensi - né quello strano mix delle due cose che è oggi il Pd, fatto di strati non comunicanti e di primarie con auto-cooptazione. Bisogna disegnare con profondità e innovazione un'organizzazione flessibile che assicuri la selezione continua - non episodica - di classe dirigente sulla base della capacità di organizzare e di muovere i sentimenti, che separi il segretario (degli associati) dal candidato premier (di tutti) graduando la partecipazione degli "altri" alla scelta, che attragga questi "altri" nei propri luoghi (circoli, prima di tutto, comitati, forum) perché lì ci si confronta davvero e da lì si possono influenzare le politiche e le scelte". Dichiarazione d'intenti sicuramente molto ambiziosa. Alla fine, anche Epifani, potrebbe prenderci gusto e decidere di continuare il lavoro come segretario. E un domani (perché no?) provare a correre per Palazzo Chigi come capo del principale partito di sinistra. Enrico Letta permettendo.
Il governo del giovane leader pisano (ex vice di Bersani) è appoggiato senza esitazioni dal Pd. Ma nel partito serpeggiano molti malumori: l'esecutivo bollato come “l'esito di una serie di errori nostri” (la frase è di Veltroni), “perché si è rinunciato al progetto originario del Pd”.
D'Alema è sempre tra i più attivi, anche se si muove dietro le quinte. D'intesa con Epifani ha messo a punto l'agenda su cui il partito vuole concentrarsi in queste settimane, per non subire l'iniziativa del centrodestra e le critiche – sempre pungenti – di Beppe Grillo. Al primo punto c'è il lavoro (specie dei giovani), poi le riforme istituzionali e la nuova legge elettorale. Ma c'è anche l'esigenza di mettere la faccia sul governo per evitare che i risultati, che prima o poi cominceranno ad arrivare, finiscano col portare nuovo fieno in cascina al centrodestra.
Intanto le correnti che animano il Pd continuano senza soste il loro lavoro. Dai cattolici di Franceschini (Area dem) agli ex Ppi (Fioroni) ai bindiani, passando per i "rottamatori" che non amano più essere chiamati così (Renzi, Delrio, Gentiloni). Poi ci sono i dalemiani e i veltroniani, e, preoccupati per la possibile uscita sbattendo la porta del loro leader, anche i prodiani. Molto attivi e critici i Giovani turchi (Fassina, Orlando e Orfini). Allineatisimi con Palazzo Chigi i Lettiani (Boccia, De Micheli). Un'altra componente ancora molto influente, nonostante la caduta in disgrazia del proprio leader, è quella dei bersaniani (Errani, Migliavacca, Stumpo).
Una precisa geografia politica del Partito democratico è difficile. Manca un collante forte in grado di tenere insieme le diverse "bande". Il governo Letta? Troppo debole. Epifani prova a metterci del suo. Ma da solo è difficile che ce la faccia.
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