Ma dov'è finito Bersani? Il leader vicino alla rinuncia

Il fratello lo incontra a Bettole: "Lui premier? Sì, forse in un'altra vita"

Ma dov'è finito Bersani? Il leader vicino alla rinuncia

Diradatosi quel po' d'incenso sparso sulla saggezza di Sabato santo, la scelta del Quirinale mostra contorni sempre più realistici. Ergo: limitati. Veti incrociati dei partiti, s'è detto. Impossibilità di sciogliere le Camere, pericolosità di eventuali dimissioni premature di Napolitano. Tutto vero. Su un risvolto della questione, però, non s'è accesa abbastanza luce.
Riavvolgiamo il nastro: Pier Luigi Bersani lascia il Colle dopo un burrascoso colloquio il Venerdì santo, viso stravolto e contrariato, s'invola verso Piacenza facendo perdere le tracce. Nella stessa serata, è l'intero quartier generale piddino a sembrare in rotta completa. «L'otto settembre del Pd», l'ha definito il giornalista Marco Damilano dell'Espresso, che invano provava a mettersi in contatto con qualcuno dei tanti dirigenti amici. Proprio in quelle ore era in atto l'ennesimo psicodramma, umano e politico (come se non ne avessimo ancora abbastanza) di Bersani e del Pd. Le velleità bersaniane di formare il governo in ogni modo s'erano appena infrante sulla diga di Napolitano, partorendo quella formula, «esito non risolutivo», così ambigua e così grottesca. Il leader piddino aveva ottenuto di salvare la faccia, di bloccare e camuffare l'«esito risolutivo» delle consultazioni: cioè che un governo sarebbe stato possibile, ma solo senza di lui. Ricorrendo a una personalità non politica, scelta dal presidente, per provare a incassare fiducia da Grillo. O, in modo assai più semplice, spostando l'asse di governo verso le larghe intese col Pdl, come anche parte del Pd si rendeva conto fosse inevitabile.

Come uscire dallo stallo? Come scongiurare che «il Pd non implodesse in quelle ore», come racconta un esponente dei giovani turchi? Ecco farsi strada l'idea dei «saggi», che portasse con sé il «congelamento» del pre-incaricato. Come se tra un paio di settimane, dopo l'elezione del capo dello Stato, Bersani potesse esser messo nel micro-onde e sfornato bello fresco. Ipotesi irreale. Tanto che persino il fratello ieri ci ha scherzato su, dopo averlo incontrato a Bettole: «Lui premier? Sì, in un'altra vita, forse». E come emerge anche dalle parole della sua vestale, Alessandra Moretti: «Dopo il lavoro dei saggi vedremo se questa opzione di governo politico tornerà a essere fattibile».
Si nota chiaramente un cambio di passo. Se i «saggi» sono stati un brillante espediente per prendere tempo e alleggerire la tensione, ma anche per togliere le castagne dal fuoco al partito attorcigliato nella crisi, ecco che tra un po' - forse già nelle alleanze che porteranno all'elezione del successore di Napolitano - sarà chiaro dove si andrà a parare. I fedelissimi bersaniani per la prima volta hanno cominciato a mettere in conto l'abbandono del leader al proprio destino. «Deluso è deluso - ha raccontato ancora il fratello Mauro - ma lui riesce a mascherare bene».

D'altronde, nella geografia interna del Pd sono cominciate le grandi migrazioni e le «ambasciate» tra correnti, in vista della direzione che aprirà la strada al congresso d'ottobre (sempre che a quell'epoca il Pd esista ancora). Si dice che, mentre Bersani è stato tenuto all'oscuro sulla scelta dei saggi, Napolitano abbia invece provveduto a informarne compiutamente D'Alema. Segno che l'uomo costretto a non presentarsi alle elezioni ha ripreso a contare, eccome.

Così come veltroniani e franceschiniani, ormai vicini, potrebbero presto ribaltare la maggioranza. E se i giovani turchi non ambiscono alla bella morte nel bunker, bisognerà che prima o poi qualcuno ricordi a Renzi di tirar fuori Bersani. Prima dell'assideramento.

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