Bologna In tempi in cui si chiede l’eliminazione del valore legale della laurea, ecco che le Regioni danno il buon esempio. Accadde anche a Matteo Renzi, che venne condannato dalla Corte conti per aver assunto quattro segretarie del suo staff senza il titolo universitario. Così Pierluigi Bersani non poteva essere da meno e ora si trova invischiato in una vicenda simile. Zoia Veronesi, segretaria del leader Pd e dirigente della Regione Emilia Romagna dal 2008 al 2010, accusata dalla Procura di Bologna di truffa aggravata proprio per quell’incarico dirigenziale svolto mentre lavorava anche per il leader Pd, non aveva il curriculum necessario per quel posto. La Veronesi all’ufficio distaccato di Roma per conto della Regione arrivò da semplice impiegata amministrativa senza concorso, procedimento legittimo, ma sempre a rischio clientelismo. Lo ottenne però senza la credenziale fondamentale: la laurea. La segretaria di Bersani è stata torchiata per ben quattro ore nell’ufficio del procuratore aggiunto Valter Giovannini. Il risultato è un verbale secretato e un incontro che i legali della donna hanno definito «sereno ».Lei è fuggita a bordo di un’auto coperta da alcune foglie, però. Così a tenere banco sono i dubbi di una vicenda che rischia davvero di compromettere la corsa di Bersani alla guida del Pd anche se, come abbiamo visto, lo stesso Renzi finì nella trappola per una vicenda simile, quindi i due potrebbero anche concludere questo match in parità.
Cosa che però non sembra intenzionata a fare la Procura dopo l’esposto del parlamentare Enzo Raisi, che con la sua segnalazione ha dato il via due anni fa all’inchiesta approdata ora con l’iscrizione nel registro degli indagati della Veronesi e di Bruno Solaroli.
Questi, da capo di gabinetto della seconda giunta Errani firmò nella primavera del 2008 la delibera con cui alla Veronesi veniva affidato l’incarico di curare i rapporti tra la giunta regionale e il Parlamento. Giunta e non Consiglio. Distinzione non formale. La nomina di dirigente a chiamata della Veronesi e i conseguenti 155mila euro di compenso in un anno e mezzo sulla cui natura ora la Procura ha acceso i riflettori, non nascono in Consiglio regionale. Dove a vigilare su nomine e incarichi ci sono i questori ed eventuali trucchi sarebbero stati facilmente scoperti. A chiamare la Veronesi è proprio Errani o qualcuno della sua giunta.Tanto più che l’incarico che sostiene di aver svolto a Roma per conto della Regione, in realtà era per conto della giunta. Per pratiche di confronto su leggi e provvedimenti normativi il consiglio si avvale della conferenza dei presidenti d’assemblea. Nel caso della Veronesi invece i «datori di lavoro » erano il governatore e gli assessori. Così Solaroli si trova indagato per abuso d’ufficio, reato del quale vengono accusati i pubblici ufficiali che affidano incarichi a persone senza il necessario pedigree. Quello della Veronesi era un incarico a stretto contatto con il governatore. Che sembra essere passato inosservato ai parlamentari emiliani.
Lo ha confermato lo stesso Raisi, che ha detto di non aver mai incontrato la signora in Parlamento: «E sì che sono alla Camera da diversi anni». Lei invece aveva già spiegato di aver lavorato nel tempo perso per Bersani, al termine delle sue 36 ore come da contratto. Ma la giustificazione della segretaria «hobbista » del leader del Pd insospettisce il deputato di Fli che dice di sentirsi «preso in giro».
Lei ha detto che in quell’ufficio incontrava i parlamentari e si raccordava con la Regione. Ma qui il mistero e le zone d’ombra si fanno più fitti: «Forse incontrava i deputati Pd? Ma li vedeva come dirigente o come segretaria di Bersani?
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