Ecco il sistema Penati targato Pd: una gioiosa macchina da tangenti

Chiusa l’indagine sulla corruzione rossa a Sesto, i pm di Monza confermano le accuse: l’ex braccio destro di Bersani e altri ventuno indagati verso il processo

Ecco il sistema Penati  targato Pd: una gioiosa  macchina da tangenti

Milano È come se a Sesto San Giovanni, città simbolo del movimento operaio e del suo tramonto, si fossero dati appuntamento i faccendieri rossi di tutta Italia. Intorno a Filippo Penati, per sette anni sindaco di Sesto e poi presidente della Provincia, l’atto finale delle indagini della Procura di Monza raduna personaggi che ai quattro angoli della Penisola hanno gestito nel tempo il lato meno visibile dell’attivismo dei Ds: quello degli appalti, degli affari, delle tangenti, degli scambi di favore, delle consulenze inesistenti.

Sono 21 i nomi che fanno compagnia a quello di Filippo Penati, protagonista eponimo dell’inchiesta, nel provvedimento che la Gdf ha notificato ieri mattina su ordine dei pm Walter Mapelli e Franca Macchia. È la riprova di quanto già si era intuito: l’autodifesa di Penati, l’interrogatorio con cui in ottobre l’ex braccio destro di Pier Luigi Bersani cercò di togliersi d’impiccio, non ha mutato di una virgola le convinzioni dei pm. Penati è accusato di avere trasformato la sua attività pubblica di sindaco di Sesto e di presidente della Provincia di Milano in una gioiosa macchina per raccogliere fondi per sé e per il partito. A foraggiarlo e a dargli man forte, uomini come Roberto De Santis e Enrico Intini, grandi amici di Massimo D’Alema, che compaiono anche nelle inchieste sulla sanità pugliese in salsa Pd; a incassare le consulenze fasulle, personaggi enigmatici come Francesco Angello e Gianpaolo Salami, registi dello sbarco delle Coop rosse in Sicilia; e a imporre la legge «appalti in cambio di licenze», accanto a Penati - nella ricostruzione dei pm - c’è un grande vecchio della cooperazione rossa, il presidente del consorzio Ccc Omer degli Esposti.

Per Penati l’«avviso» elenca le imputazioni di corruzione, concussione e finanziamento illecito; e ruota intorno a tre degli affari finiti sotto la lente della Procura: il recupero delle aree della Falck e Ercole Marelli, enormi zone industriali nel cuore di Sesto, e la terza corsia dell’autostrada A7, che trascina nei guai altri due fedelissimi di Penati, ovvero il presidente della Tem (Tangenziale esterna milanese) Massimo Di Marco e l’architetto Renato Sarno, professionista rampante e bipartisan ma che la Procura considera «uomo di fiducia e collettore di tangenti dell’allora presidente della provincia di Milano». Alcune delle accuse - in particolare sull’area Falck - riguardano episodi ormai lontani, visto che si parla del 2000, e sull’orlo della prescrizione. Altre invece sono più recenti, e ruotano intorno alla fondazione «Fare Metropoli», che la Procura definisce «mero schermo destinato a occultare la diretta destinazione della somma a Filippo Penati», che tra il 2009 e il 2011 avrebbe rastrellato finanziamenti sottobanco dalle imprese più disparate: tra queste, la Banca popolare di Milano, e per questo viene indagato l’ex ad Massimo Ponzellini. Penati è accusato di avere incamerato 368mila euro «quale presidente della Provincia di Milano sino al giugno 2009, quale candidato alle elezioni del 2009 per la provincia di Milano e del 2010 per la Regione Lombardia e successivamente quale consigliere della Regione Lombardia nonché quale consigliere della Regione Lombardia nonché quale esponente del Partito democratico».

In sostanza, la gara (persa) con Roberto Formigoni per la presidenza del Pirellone sarebbe stata finanziata da Penati a colpi di mazzette. Di queste accuse la Procura è pronta a tirare le fila.

Ma c’è un pezzo di inchiesta che va avanti e riguarda episodi più recenti, come la gigantesca stecca che il gruppo Gavio avrebbe pagato in cambio dell’acquisto da parte della Provincia delle sue quote dell’autostrada Milano Serravalle. E qui la prescrizione è lontana.

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