Le Femen «made in Italy» a scuola di corpo a corpo

Per ora sono poche decine, ma il tam tam sul web è incessante. In arrivo da Kiev istruttrici "toste" per renderle più battagliere

Alcune attiviste del gruppo femminista "Femen"
Alcune attiviste del gruppo femminista "Femen"

A guardare le foto delle esordienti Femen italiane, più che Femen, sembrano - con rispetto parlando - un po'«Scemen». Immagini d'autore e scatti posati in studio, come si fa per le top model. I primi clic pseudo-rivoluzionari delle nostre ragazze sono apparsi ieri sul Corriere.it e l'effetto non è stato dei più convincenti. Non bastano un paio di tette (tricolori) per convincere tutti. Seni bianco rosso e verde e frasi «ideologiche» (?!) scritte sulla panza (le Femen «made in Italy» appaiono piuttosto sovrappeso): fashion is fascism; donna, non manichino; patriarcato e femminicidio; io sono femen libera; queste non sono tette, sono messaggi politici... E solo Dio sa, di questi tempi, quanto ci sia bisogno di «messaggi politici», che vadano al sodo.
Ma le nostre Femen alla vaccinara durante quale blitz pubblico sono state immortalate? In piazza San Pietro contro il Papa? Davanti a Villa Arcore contro Berlusconi? Sotto il Quirinale contro Napolitano? Macché. Loro inveiscono, in playback, nello studio di un bravo fotografo che sa come ritrarle al meglio per valorizzarne il lato migliore. Lato che è ancora un mistero, considerato come lo zoccolo duro delle Femen italiane conti appena una trentina di adepte e ancora nessuna vera azione dimostrativa all'attivo. Tuttavia «Francesca, Mary, Chiara e Beatrice» - le proto Femen alla pizzaiola - assicurano che il gruppo è in piena espansione grazie all' incessante tam tam via web. Sulla loro pagina Facebook la «piattaforma programmatica» è tutta ispirata agli insegnamenti di tale «Anna Gucol»: una specie di Beppe Grillo in versione iper femminista che «nel 2008 a Kiev dette vita alla battaglia anti-machismo». Boh. Intanto - nel rispetto forse della loro «battaglia anti-machismo» - Francesca, Mary, Chiara e Beatrice hanno deciso di rilasciare la loro prima intervista a una cronista donna. Riservandole dichiarazioni choc come: «Bisogna essere preparate quando si viene bloccate dalla polizia. Tante volte siamo sbattute a terra. Magari capita che qualcuno ci picchi». E poi: «Qui in Italia rischiamo una condanna dai 2 ai 7 anni per manifestazione non autorizzata e resistenza a pubblico ufficiale, oltre al reato di atti osceni in luogo pubblico». E ancora: «Un consiglio per le aspiranti Femen italiane? Cominciare a mettere una foto in topless su Facebook, in modo da captare la reazione degli amici: le tue immagini durante una protesta saranno infatti pubbliche e così almeno ti renderai subito conto di quello che ti aspetta». Ma, esattamente, cosa le «aspetta»? Tanto per cominciare gli insegnamenti di una Femen «esperta», pronta a piombare in Italia dalla sede madre di Kiev per una sessione «workshop» di aggiornamento professionale. Come? Per mostrare le tette in piazza, sbracciarsi un po' e lanciare due urli, è necessario il «workshop»? Mary, referente della filiale Italian-Femen, non se la sente di cedere al dilettantismo: «Può sembrare facile spogliarsi in mezzo a una strada. Non è così, ognuna di noi deve avere davanti a sé una preparazione sia fisica sia psicologica. Fondamentali i corsi di teoria e pratica sull'uso della parola e del corpo». Un percorso iniziato a settembre 2012 e ancora in divenire.

Non è uno scherzo, in ballo c'è roba grossa (tra cui anche un bello stipendio, si parla di circa mille euro a manifestazione. Sputaci sopra...): «Vogliamo riappropriarci della libertà del nostro corpo, utilizzando lo stesso linguaggio televisivo, machista, per creare un grande cortocircuito». Roba da restare tutti fulminati,

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