Non vorremmo essere nei panni grigioverdi del generale Figliuolo. Quattro stelle, tre lauree, 61 anni, 20 onorificenze, divise immacolate e figura divisiva (ricorderete le frasi discriminanti di Michela Murgia contro la curiosa abitudine dei militari di indossare l'uniforme), ha imparato a combattere nemici, comandare uomini, portare a termine missioni in giro per il mondo, affrontare emergenze belliche, climatiche e sanitarie. Ma non a districarsi fra le beghe della politica.
Corpo d'Armata e testa brillante, ha gestito un virus (fu Commissario straordinario per l'emergenza Covid), è stato Comandante logistico dell'Esercito e dal 2021 è a capo del Comando operativo Interforze della Difesa: pochi giorni fa era in Libano a ridosso della linea del fronte tra Hezbollah e Israele. Una vacanza rispetto agli impicci della politica-politicante: come Commissario alla ricostruzione dopo l'alluvione in Emilia è da giorni che sta provando a mettere d'accordo i Comuni (strano, di sinistra) che litigano sulla ripartizione dei fondi. «I sindaci hanno più voglia di fare polemica che di rimboccarsi le maniche», ha detto. Superare una pandemia e normalizzare un pezzo di Medioriente, per restare impantanato nelle richieste danni di Castel Guelfo di Bologna.
È così. L'Italia è un Paese facilissimo da amare, impossibile da capire.
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