Quel «che fai, mi cacci?» doveva essere il gesto d’orgoglio di un numero due finalmente pronto a diventare grande, un colpo alle certezze del Pdl gettato sul tavolo per sparigliare le carte. Era, doveva essere, la mossa furba del braccio destro che abbandona la nave prima di fare la fine del comandante e ricominciare un’altra vita senza più il peso del berlusconismo sulle spalle. Era, come è stato, anche il ripudio dei colonnelli che avevano condiviso con lui la metamorfosi del Msi, l’avventura di An e anni di fredda amicizia. La certezza di ricominciare da un’altra parte con la compagnia gracchiante di Bocchino e Granata. Solo che il viaggio è finito presto. Il Fli, con i suoi futurismi, era una barchetta senza rotta. Così dopo poche miglia ha gettato l’ancora nel primo porticciolo a disposizione, quello che con molta presunzione l’architetto Casini ha battezzato come grande centro.
La beffa per Fini è che come navigante vale come il suo alter ego, quel Francesco Rutelli che sfidò nel 1993, quando Gianfranco sembrava una promessa sicura.
Tutti e due a fare i vassalli a quella volpe post democristiana di Casini. Se un anno fa qualcuno ancora si chiedeva quanto pesa in voti il Fli, da un po’ di tempo si dava più o meno per scontato che era un partito leggerissimo. Volatile. Le amministrative di domenica e lunedì hanno dato l’ultima conferma. I pessimisti si sbagliavano per difetto. È andata molto peggio. Si mormora di un due per cento a livello nazionale. Ma al di là di questo, l’evidenza è che il Fli non conti nulla, non sposta, non entra in competizione, è marginale come quei partitini che nelle percentuali figurano nella casella «altri». Come una margherita nell’acqua di un vaso d’appartamento,sembra viva, ma è già defunta (che solo uno Stato in catalessi può continuare a concimare fregandosene degli sprechi).
Fini per restare aggrappato alla sua zattera ha lasciato a Casini il palcoscenico politico. È Pierfurby che si è inventato il grande centro. È lui in prima fila come sponsor dei tecnici. È la sua C a comparire nel pacchetto di maggioranza che sorregge Monti. È lui, sempre lui, quello che ha chiuso l’Udc per aprire il partito della nazione, ipotetico contenitore per il popolo dei moderati, con l’ambizione di fare concorrenza a Berlusconi sul suo terreno. Ma anche in questo Fini appare sfortunato. Non solo fa la figura dell’eterno numero due, ma il suo principale non sta ottenendo i successi sperati. Seguire la scia di Berlusconi gli aveva perlomeno permesso di costruirsi una carriera.
Stare lì a succhiare le ruote di Casini significa invece vivacchiare al centro del gruppo, sempre più stanco, sempre più invisibile. Gianfranco Fini al momento è quindi solo un ruolo. Tutto il suo peso politico è nel vestito blu che porta addosso. Il risultato è che ha l’appeal di un attaccapanni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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