Il giallo di Greganti al Senato: "Sì, l'ho visto un paio di volte"

I dipendenti di Palazzo Madama ricordano la presenza del "compagno G". Mentre scatta la caccia ai tabulati degli accessi per ricostruirne i movimenti

Il giallo di Greganti al Senato: "Sì, l'ho visto un paio di volte"

Roma - Svaporato quello del Comunismo, sembra ancora più impalpabile lo spettro che si aggirava - sempre di mercoledì - a Palazzo della Madama, tra i busti dei Senatori del Regno, i parquet felpati di guide in velluto rosso e senatori di carne e ossa.
Unica certezza quel che i giovanotti della Guardia di finanza hanno scritto nei loro rapporti, poi riscontrato dalle celle di localizzazione dei telefonini. Cioè che si trattava del fantasma di Primo Greganti, ricomparso vent'anni dopo, pare, per smentire il se stesso orgoglioso di vent'anni prima, quando affermava di essere «diverso: io non ho rubato, non ho spolpato l'Italia». Si sarebbe messo in proprio, dicono le carte. Forse per riprendersi qualcosa del bendidio visto passare tra le mani e recapitato fino all'ingresso del Bottegone, sede della Chiesa di cui era credente, il Pci. Anche qui facendo sparire le tracce non appena varcata la soglia, proprio come la supertangente rimasta celebre per essersi fermata dietro una tenda, tra gli uffici di Occhetto (segretario) e D'Alema (vice).
Incredibile. O poco credibile, come insiste il grillino Giarrusso, che vorrebbe andare fino in fondo, trovandosi però sempre di fronte ai muri impalpabili del Palazzo. Che non sono quelli che si vedono, bensì quelli contro i quali si sbatte. Alla prima richiesta di poter accedere ai tabulati degli accessi, sono saltate due «centrali» di smistamento dei dati informatici, con relativo black-out per l'intera giornata. «Si sono surriscaldate, prima l'una poi l'altra», spiega con sussiego un ingegnere dello staff. I dati non sono affatto andati perduti. «Sono nella disponibilità del segretario generale», dice. Elisabetta Serafin, numero uno dell'Amministrazione, però, non li ha ancora richiesti. Non è curiosa come il suo presidente, Piero Grasso, che l'altro giorno ha scritto una lettera alla Procura di Milano per chiedere «con urgenza» informazioni e «ogni utile elemento di dettaglio riguardante le date e gli orari...». Bella questa: il Vertice ha l'accesso ai tabulati e chiede informazioni a Milano? Sì, spiegano al Servizio informatico, «perché da noi vengono cancellati dopo un lasso di tempo, questioni di privacy». Tempo congruo? «No, breve. Motivi di sicurezza».
Sicurezza dei fantasmi, naturalmente. Entrare in Senato, per uno spettro, non è difficile. A braccetto con un senatore, per esempio (anche se potrebbe essere assai compromettente). Il problema è sapere dove si va, cosa che il «compagno G.» sapeva benissimo. Solo per un motivo consistente si entra in un posto per niente «riservato», come il Senato. Inutile pensare a vecchie conoscenze tipo Ugo Sposetti: mille i modi per vedersi lontano da occhi indiscreti. Così per chiunque non ricoprisse ruoli di rilievo e avesse tempo contato (magari anche poca familiarità con Greganti). Non a caso il «fantasma di G» è stato avvistato al primo e al terzo piano. Al primo, dove ci sono gli uffici del capogruppo del Pd, Luigi Zanda, del suo staff, del suo vice, del tesoriere, dell'amministrazione e dell'ufficio stampa. Più in là, quelli di Riccardo Nencini (Psi). Al piano delle tribune, invece, c'è il «corridoio dei questori»: in questa legislatura la grillina Bottici, il forzista Malàn e il centrista De Poli («Per l'Italia»). Tra i pochi senatori che ricordano il «fantasma di G», il socialista Lucio Barani, andato a trovarlo in carcere.

Ma anche qualche dipendente: «A me è capitato di vederlo solo un paio di volte, non tutti i mercoledì», dice violando una ferrea consegna. «Macché: andava altrove, qui non s'è mai visto», si difendono nell'entourage pidino. Dimenticando che gli spettri, si sa, bussano sempre due volte.

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