Roma - Presidente Renzi, arrivando qui il tassista mi ha detto: «Quel Renzi mi piaceva molto, ora però mi pare che non gli facciano fare niente e che abbia intorno i soliti politicanti. Quasi quasi voto Grillo così vanno a quel paese».
Non teme che stare al governo la abbia resa agli occhi degli elettori meno nuovo, più «come gli altri»?
«Onestamente, penso che di cose ne abbiamo fatte moltissime. Oggi racconterò in una conferenza stampa il mio giro d'Italia in 80 giorni: il provvedimento sul lavoro, gli 80 euro, la legge elettorale approvata dalla Camera, il decreto Cultura che apre ai finanziamenti privati, la riforma della Pubblica amministrazione e del Terzo settore. Abbiamo rivoluzionato tempi e modi di governo, messo metà donne ovunque, rinnovato i vertici delle aziende pubbliche. Si poteva fare meglio? Di sicuro. Ma sfido chiunque a fare altrettanto. Se poi quel tassista vuol votare Grillo pazienza, cercherò di recuperarlo fino all'ultimo secondo».
In 80 giorni ha fatto 9 decreti legge e chiesto 9 fiducie. C'è un problema nella sua maggioranza?
«Assolutamente sì, negarlo sarebbe scorrettezza intellettuale. Il problema c'è. E l'assetto istituzionale non aiuta. Sto aspettando che si riformino finalmente i regolamenti parlamentari, poi sarà più semplice superare gli eccessi di fiduce e di decretazione d'urgenza».
Si sarà reso conto di essere il premier con meno poteri in Europa. S'è pentito di non aver messo questa riforma in cima alla lista?
«No. Quello della forma di governo è un problema reale, che va affrontato. Ma non è urgente come la riforma del bicameralismo e del federalismo. E a volte è necessario trovare delle mediazioni alte per riuscire a portare a casa i risultati».
Intanto però le riforme arrancano. Non è stato un errore accettare le pressioni di pezzi di Pd e dei suoi alleati e non fare subito l'Italicum?
«Se l'accordo sui tempi avesse retto, avremmo già portato a casa la riforma del Senato in prima lettura. Ci siamo fermati perché Berlusconi ha chiesto di tenere il tema fuori dalla campagna elettorale. Credo che su questo abbia sbagliato a dar retta a cattivi consiglieri: avrebbe giovato anche a lui intestarsi le riforme. Ma le porteremo a casa, inutile strapparsi i capelli per qualche settimana in più dopo vent'anni di ammuina totale».
L'accordo con Berlusconi reggerà anche dopo il voto?
«Dire no alle riforme gli nuocerebbe. A Berlusconi va riconosciuta l'ennesima campagna elettorale da vero combattente: i sondaggi lo danno poco sotto un anno fa. E senza Ncd. Quest'anno ha subito una scissione, una condanna, la decadenza, i servizi sociali, ha fatto cadere un governo. Ne ha fatte e subite di tutti i colori ed è ancora lì: onore al merito. Ma fare le riforme conviene all'Italia. E anche a lui».
A proposito di condanne, non pensa di aver fatto un errore a inseguire Grillo sul suo terreno, ad esempio sul caso Genovese?
«Alt: non abbiamo inseguito nessuno. Ho sempre detto che per me chi non è condannato definitivamente è innocente. Ho difeso il diritto a far politica, anche da sottosegretario, di chi ha un avviso di garanzia, contro i mâitre-à-penser di certa sinistra. E questo giusto ieri mi è costato un processo in streaming nella redazione del Fatto. Sono tra i pochi a resistere alla barbarie degli avvisi di garanzia come condanna anticipata. Ma su Genovese la Camera doveva solo decidere se ci fosse il fumus persecutionis, e il Pd lo ha trattato come un qualsiasi cittadino. Non ho ceduto alla furia giustizialista: se c'è stato qualcuno a sinistra che ha criticato i magistrati quando era giusto sono io. Ma la legge e uguale per tutti, dalle nostre parti».
Teme i contraccolpi di una forte affermazione di Grillo?
«No. Il suo era il primo partito, alle scorse elezioni. Se gli italiani voteranno con cuore e testa e non con la pancia, lunedì non lo sarà più. È uno straordinario professionista della comunicazione, dice cose opposte a seconda della piazza che ha davanti. A Torino sta con i NoTav, a Roma coi carabinieri. A Firenze con Berlinguer, in periferia con Casa Pound: è il primo leader il cui programma dipende più dal Tom tom che dalle idee. Ma mi ostino a credere che ci sia un'Italia stanca di insulti e odi reciproci. Punto a quell'Italia: non mi importa cosa ha votato in passato, non ho la puzza al naso tipica di chi vede nell'altro il nemico. Per me chi ha votato Grillo o Berlusconi è un cittadino da conquistare con le nostre proposte, e spero che siano tanti. È solo che oggi chi vuole un'Italia che conti in Europa deve votare Pd: pensi un po' come stiamo messi...».
I dipendenti Rai - con Grillo - la contestano. S'è messo contro la tv pubblica?
«È divertente vedere gli incendiari grillini trasformarsi in pompieri, a braccetto con l'Usigrai.
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