I 5 Stelle si fingono neutrali ma strizzano l'occhio al Pd

Sui ballottaggi la base del movimento vuole un referendum: sul web il 44% sta con i candidati della sinistra

I 5 Stelle si fingono neutrali ma strizzano l'occhio al Pd

Ci voleva lo schiaffo delle comunali per far scattare di nuovo la caccia al grillino a Montecitorio. Nel day after del tracollo di Roma e di tutte le altre città al voto (solo ad Assemini uno del M5S è andato al ballottaggio. E ora andate a cercare su Wikipedia dove si trova) ritorna in auge il gioco di quando i cittadini deputati entrarono a Palazzo: i giornalisti chiedono e loro fuggono. Con una sola differenza. Allora nessuno li conosceva e si andava per indizi: una cravatta semi slacciata, un jeans, uno zainetto. Ora che i pennivendoli conoscono i loro volti, sfuggir loro è arduo.

E così tra capannelli, caffè alla buvette presi ormai senza nessuna remora dopo gli imbarazzi anticasta dei primi tempi, ecco qualcuno di loro consegnarsi ai taccuini e ai microfoni per commentare l'esito del voto. «Non è stato un buon risultato», ammette ad esempio Roberto Fico, prossimo capogruppo, secondo cui «c'è stato un problema di comunicazione. Noi avvieremo una riflessione, ma del resto lo facciamo sempre. In tutti i percorsi ci sono sbagli, inefficienze, valori aggiunti. E il nostro è un progetto di lungo termine, lento ma inesorabile». Per Andrea Cecconi «non è andata benissimo ma non si può parlare di disfatta perché nelle città con i gruppi locali presenti da tempo, vedi Ancona e Roma, siamo andati bene». Bene a Roma? Ohibò!

Spaccare il capello, enfatizzare l'effetto astensionismo, segnalare la differenza tra politiche e comunali, dare la colpa al popolo bue - vecchio malvezzo della sinistra, peraltro. I deputati grillini sono stati ammaestrati a puntino nella ricerca dell'alibi, come quegli allenatori che hanno sempre visto un rigore non fischiato. «Io sono neutro - pontifica ad esempio Walter Rizzetto - e penso davvero che politiche e amministrative siano due cose diverse». E siccome la matematica non è un'opinione ma i numeri evidentemente sì, gira una tabella tra i parlamentari grillini, che poi rimbalzerà per tutto il giorno sui social network di rito consolatorio. Lo schemino contabilizza le differenze tra il voto del 2008 e quello del 2013 nelle varie città. Per Roma, ad esempio, conteggia una perdita di 254mila voti per il Pd, un tracollo di 363mila voti per il Pdl e una crescita di 90mila voti per il M5S. Una logica che viene annessa poco dopo anche da Fico a Radio24: «Se pensiamo che fino a un anno fa esultavamo perché riuscivamo a eleggere uno o due consiglieri, oggi esultiamo anche per il risultato di Roma che va oltre il 12 per cento». Ma è un romanissimo «ajetto» che non consola nessuno. Provate del resto a convincere Cenerentola, dopo che ha flirtato con il principe azzurro, a sposare un ragioniere del catasto.

La questione romana agita il Movimento anche per un'altra ragione. Che cosa fare al ballottaggio? Appoggiare Marino, dare libertà di coscienza o caldeggiare l'astensionismo (di votare Alemanno non se ne parla, ça va sans dire)? La linea ufficiale è per non sporcarsi le mani, ma grattando appena un po' ecco di nuovo emergere l'imbarazzo che ha già infestato il dna grillino durante il corteggiamento governativo di Bersani e prima dell'elezione di Pietro Grasso a presidente del Senato.

Qualcuno tra i M5S mugugna, vorrebbe un referendum tra la base, ma Grillo e Casaleggio sarebbero contrari, anche perché il sito www.romaitalialab.it, che ha «sondaggiato» i suoi lettori, ha scoperto che il 44 per cento dei grillini vedrebbe bene un endorsement per Marino. Quindi il referendum non si farà. Scommettiamo?

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