Gli impiegati smontanti che stanno per morire salutano i colleghi prendendoli in giro perché hanno terminato il turno di lavoro e possono andarsi a bere una birra in uno dei pub del porto. Gli uomini che stanno per morire ridono e se la chiacchierano perché quando si lavora insieme si crea quello spirito di corpo tanto che si è numerosi tanto che si è in un numero esiguo. Il comandante della nave cargo da 40mila tonnellate che sta per devastare la torre del molo Giano di Genova fuma una sigaretta e si lascia affiancare dal pilota portuale per le manovre di uscita da un reticolo di respingenti, ormeggi e banchine galleggianti.
Gli impiegati che stanno per morire, sia quelli del turno montante sia quelli del turno smontante, pronosticano i risultati di Sampdoria Catania e Torino Genoa che a questo punto della stagione sono determinanti per la salvezza delle due compagini genovesi. Qualcuno aspetta l'ascensore, qualcun altro raccoglie le sue cose o dà un'occhiata alle vetrate che da cinquanta metri d'altezza offrono una visuale perfetta di quella porzione di porto. La notte è limpida. Il cielo sereno e il mare calmo. Contro i respingenti piccole onde sciabordano di continuo e l'acqua nera è imbrigliata tra le paratie e le piattaforme per le gru che come tasselli di un mosaico liquido compongono il crepuscolo.
Il comandante che sta per essere incriminato per omicidio sorseggia caffè e guarda verso l'orizzonte disegnato dalle luci dei cantieri navali e dalle lampade di segnalazione all'imbocco del porto. Sta pensando alla sosta nel porto di Napoli e alla successiva partenza per Port Said, Gibuti. I porti africani, sta pensando, potranno a stento sopportare i duecentoquaranta metri del suo cargo, ma come in altre occasioni tutto andrà bene.
Intanto gli uomini che stavano per essere uccisi, tutti toscani tra i trenta e i cinquant'anni, prendono posizione nella torre di controllo o cominciano ad abbandonarla. Qualcuno di loro avrà pensato che il nome del molo, Giano in omaggio al dio greco romano, è quanto di più azzeccato perché quello era il dio del movimento, ma anche dell'attesa, del custodire i luoghi ponendosi davanti agli archi, alle porte di accesso alle città, davanti agli usci delle case. Il dio, avrà pensato uno dei lavoratori che di lì a pochi istanti sarebbe stato scaraventato in mare e ucciso, era posto a guardia anche degli uomini, dell'umanità, della psiche. Un bel nome per una torre di controllo simile alle antiche torri di avvistamento che servivano a proteggere la costa dagli attacchi dei pirati saraceni. E ai pirati si ispira il nome della nave cargo che di lì a un istante manderà in briciole la torre con la sua potente poppa. Jolly nero. Quasi un rafforzativo del Jolly Roger corsaro. Un nome che incute timore.
Fatto sta che invece di tirar dritto, la Jolly Nero vira a sinistra e ruota in modo innaturale andando di poppa contro la torre piena di gente. L'impatto nella notte illuminata dalle luci portuali è devastante e i cinquanta metri si sbriciolano davanti agli occhi del comandante della nave porta container e del suo pilota. L'ascensore finisce in mare sepolto da metri cubi d'acqua oscura e detriti che schizzano ovunque.
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