"I magistrati forzano le leggi. Ormai è scontro con lo Stato"

Giorgio Spangher, esperto di Procedura: "L'esempio di conflitto è il processo a Napolitano sulla trattativa Stato-mafia. Non c'è più equilibrio tra le parti, nei processi i giudici stanno con l'accusa"

"I magistrati forzano le leggi. Ormai è scontro con lo Stato"

Quando incontri una persona, c'è un prima e un dopo. Il prima è l'infarinatura che hai di lei senza conoscerla. Il dopo è quando ti sta davanti agli occhi. Del professor Giorgio Spangher sapevo che è un numero uno della Procedura penale di cui, dopo averla insegnata a Sassari e Trieste (sua città natale), è ordinario alla Sapienza di Roma, supremo punto d'arrivo universitario. Al telefono mi ero fatto anche l'idea che fosse autoritario, perché di poche parole e ipermattiniero al punto che ho rischiato un appuntamento alle 7.30, spostato alle 8,30 con abile trattativa. Alla fine mi sono detto che a settant'anni, tanti ne ha Spangher, ha il diritto di essere bacchettone. Con questo bagaglio cognitivo, mi sono presentato da lui.
Incontro uno di quei settantenni che madre natura moltiplica ai nostri giorni: dimostra a stento cinquant'anni. Ha parlantina torrentizia, è caratterialmente cordiale e propone, da bon vivant, di andare nel giardino a goderci il sole romano anziché starcene nella hall del suo albergo come due grami mediatori d'affari. Mentre sediamo, è lui a ricordarmi ciò che ho omesso nella presentazione. Ossia che, oltre a essere docente, è anche preside della Facoltà di Legge. Però lo dice solo per pregarmi di non scriverlo - ma come faccio? - perché lui, parlando di Giustizia, vuole farlo a nome suo, senza le cautele cui una veste istituzionale, come quella di preside, lo costringerebbe. Insomma, è unicamente il prof che parla. Stavo per fargli una domanda scemetta, tanto per rompere il ghiaccio, quando metto meglio a fuoco il suo aspetto. Ha barba nera, occhi vigili e un paio di jeans. Sembra il personaggio di un western. Così, adattandomi alla scoperta, ho sparato a bruciapelo una domanda micidiale: «Se fosse incriminato, direbbe: “Ho la massima fiducia nella magistratura?”». Spangher reagisce con un sorriso tirato, ci pensa su e dice: «Non mi sbilancerei con una affermazione così netta».
Vuole dire che, se gli capitasse, sarebbe stravolto, conoscendo i suoi polli. Ma usa garbate circonlocuzioni. Lo farà spesso. È quindi utile che vi dica subito come ho capito io che la pensa Spangher, anche quando si esprime in modo cripitico-docenziale. Il professore è più che convinto che la Giustizia sia malata e i magistrati eccedano. Ma anche che la gente è dalla loro parte e non accetta distinguo. È furiosa per le ruberie dei politici, tanto più odiose in tempi di crisi. Invoca la ramazza e osanna chi la usa. Perciò, pensa con amarezza Spangher, è il momento peggiore per sognare riforme garantiste. Leggete dunque l'intervista con queste lenti.
Il giudice è più vicino al pm che ai diritti della difesa?
«Sostanzialmente vero. Il grande problema del processo è l'equilibrio dei poteri, tra difesa, pm e giudice».
Equilibrio che manca.
«Spesso il giudice si schiera più sulle tesi accusatorie. Ma c'è anche un altro equilibrio in crisi».
Cioè?
«Quello tra la magistratura e gli altri poteri dello Stato. Quando nasce un conflitto tra Procura di Palermo e capo dello Stato (trattativa Stato-mafia, ndr) o tra Procura di Milano e Governo (sul segreto di Stato nel caso Abu Omar, ndr), significa che il livello di guardia è superato».
C'è abuso del carcere prima del processo?
«Il nuovo codice di procedura aveva sostituito la carcerazione preventiva, ossia l'anticipo della pena, con la custodia cautelare, semplice misura di precauzione che non sottintendeva la probabilità della condanna. Ma le leggi successive ci hanno, di fatto, riportati al carcere preventivo. La galera non è più l'ultima ratio».
C'è abuso di intercettazioni?
«Spesso non sono rispettati i presupposti di legge per farle».
I giudici violano le leggi?
«Le forzano. Di fronte alle obiezioni della difesa, vanno avanti per la loro strada. Se nei codici c'è scritto “immediato”, che per me significa subito, il giudice interpreta dieci giorni; se c'è scritto “assolutamente indispensabile”, il magistrato interpreta opportuno, utile».
Pura illegalità. Bisognerebbe scendere in piazza.
«Ci andrebbe da solo. La gente no, perché capisce che si sta facendo pulizia. Sentito parlare della Rivoluzione francese? Quelli che andavano a vedere le esecuzioni? Siamo lì. Il processo penale è sensibilissimo a questi umori».
È tollerabile la legislazione speciale per i mafiosi, dai processi di massa al carcere duro?
«Il doppio binario è accettabile. Ci ha fatto uscire dal terrorismo, vincendolo per via giudiziaria, pur piegando le norme con leggi di emergenza. Ha consentito di restare nella legalità. Altri hanno impiccato i terroristi in carcere».
Con la scusa dei mafiosi si è finito per colpire i non mafiosi con il reato inventato del concorso esterno. Costituzionale?
«Dirmi perplesso è un eufemismo. I poliziotti, per esempio, per svolgere i loro compiti, devono navigare in una zona grigia: il caso Contrada».
Cuffaro e Dell'Utri hanno sette anni a testa per concorso esterno.
«Il diritto penale deve distinguere tra l'illecito e il grigio. Il cosiddetto concorso esterno non è nella zona illecita, ma in quella grigia. Come tale, non è sanzionabile».
L'Università come si schiera di fronte a queste bestiali forzature?
«Salvo eccezioni, sviluppa una linea garantista. Guarda al sistema, non all'emergenza. Docenti e studenti hanno metabolizzato i principi di garanzia della Convenzione Ue».
La magistratura dilaga dalla politica industriale (Ilva) alla camera da letto (Ruby). Perché?
«Vuole moralizzare la società, mentre dovrebbe solo applicare la legge».
Le colpe della politica per le invasioni di campo?
«Enormi! Ha delegato alle toghe funzioni proprie. Ma, soprattutto, con la sua corruzione, fa sempre più emergere la magistratura».
L'ultimo Guardasigilli degno del nome?
«Giuliano Vassalli. Introdusse il nuovo codice di procedura penale».


Separazione delle carriere tra giudici e pm?
«Certo. Nella logica dell'equilibrio dei poteri. Oggi, i muscoli sono solo da una parte: quella delle toghe contro i difensori».
Pensiero finale.
«Grande confusione sotto il cielo».

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