I pornodivi in trincea: «No al condom obbligatorio»

Negli Usa profilattici sui set a luci rosse. L'avvocato: "Una norma che lede la libertà di espressione"

La pornostar numero uno: Jenna Jameson
La pornostar numero uno: Jenna Jameson

Un attore porno che interpreta la sua parte indossando un condom è un po' come un cantante che decide di esibirsi con la mano sulla bocca. Insomma, non è bello a vedersi. E neppure a sentirsi. Almeno così la pensano i magnati americani del cinema a luci rosse che ora rischiano di dover cambiare le lampadine per colpa di un referendum eccessivamente «protezionistico». L'industria del «ciak, si monta» ha infatti dichiarato guerra alla contea di Los Angeles per l'obbligo all'uso dei preservativi per le star di quelle pellicole dove, più che le parole, contano i fatti.
I colossi del settore, tutti attivi (ma qualche volta anche passivi), nella San Fernando Valley californiana, Vivid Entertainment, Califa Productions e alcuni «stalloni» (regolarmente contrattualizzati dopo una dura, durissima, gavetta), hanno fatto ricorso davanti a una corte federale perché ritengono che la norma - approvata a novembre con un referendum in cui i sì prevalsero con il 56% - sia «incostituzionale e contraria alla libertà di espressione prevista dal Primo emendamento». E che pure le performance pornografiche rientrino tra le forma di «espressione», non c'è dubbio alcuno. Provate voi ad «esprimervi» a certi livelli davanti a registri, aiuto registi, tecnici, montatori (gli altri, non quelli addetti alla protagonista del film) che sembrano stiano lì solo per criticarti al primo calo di tensione.
«Non devi vincere un Oscar per essere protetto dal Primo emendamento», ha osservato Paul Cambria, l'avvocato che ha depositato il ricorso alla Corte distrettuale di Los Angeles.
I «ricorrenti» sostengono che bastano le regole che il settore si è auto-imposto per proteggere gli attori contro l'Aids e le altre malattie veneree e che l'obbligo imporrebbe un costo insostenibile, spingendoli a trasferire altrove le produzioni. Oltre all'uso del preservativo, infatti, viene imposto ai produttori di pagare una quota al Dipartimento per la Sanità della contea e di sottoporre gli attori a rigorosi controlli. In realtà lo scorso agosto una decina di casi di sifilide bloccò per settimane l'industria californiana del porno. m Nel ricorso si sostiene inoltre che il referendum dello scandalo tratta una materia nelle competenze federali e quindi non può essere disciplinata a livello statale.


Dalla Fondazione per la lotta all'Aids (la Aids Healthcare Foundation) si sono detti certi che il ricorso verrà respinto in quanto «il provvedimento non colpisce la libertà di espressione». Loro, i professionisti dell'erezione, non si preoccupano: «Facciamo test sanitari ogni 3 mesi. I preservativi non servono...».
La questione resta assai delicata.

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