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I tesori dell'Emilia che vanno salvati

In nome della ricostruzione si vuole radere tutto al suolo. Ma molti edifici potrebbero essere restaurati

Modena Il campanile di Buonacompra (Cento di Ferrara), necessitava di piccoli interventi di messa in sicurezza secondo l'ex sovrintendente Elio Garzillo a nome di Italia Nostra. Invece è stato demolito con costi di demolizione più alti della semplice incatenatura che avrebbe salvato l'opera. Non c'è solo il Municipio di Sant'Agostino. Nella furia distruttiva quella della «preservazione dell'incolumità pubblica» spesso è una semplice scusa per accelerare le pratiche e zittire una Sovrintendenza che a volte non si è dimostrata, almeno in questo sisma, all'altezza. «Subordinata alle esigenze della Protezione civile», dicono quelli di Italia Nostra, che con Sgarbi stanno mettendo in guardia sulla fretta di demolire opere radicate nel senso civico e religioso della gente, identitarie di un popolo, che, visti i precedenti, rischiano davvero di essere esposte più che ai cantieri, alla dinamite.
L'ex sovrintendente Garzillo ha fatto una ricognizione nella quale evidenzia proposte di intervento e tipologie di edifici da salvare. «I sindaci ci hanno riso in faccia», commentano dalla sezione regionale di Italia Nostra -. Meglio buttare giù tutto e ricominciare da capo. L'associazione ha denunciato questo modus operandi che «considera ancora in maniera anacronistica l'edilizia maggiore da quella minore, quella pubblica da quella privata» e non ha esitato a parlare di «pulizia etnica nel campo dell'edilizia».
Ma quali sono gli edifici a rischio demolizione, ora che ben due precedenti hanno spianato la strada a questa soluzione?
«Sono tantissimi» dicono. Di sicuro, da una rapida mappatura, tra gli edifici per i quali presto, molto presto ci si chiederà se intervenire o buttare giù, ci sono soprattutto chiese, campanili, rocche civiche, palazzi antichi. Tra questi il Duomo di Carpi, ma anche quello di Mirandola e di Finale Emilia. E ancora: le porte cittadine di Cento di Ferrara e il castello di Finale. Rischiano anche il 90% delle chiese della diocesi di Carpi, tra cui quella di Rovereto sulla Secchia davanti alla quale non meno di un mese ha pregato il Papa e il 50% di quelle dell'Arcidiocesi di Modena. Ma anche la rocca di San Felice o il campanile della cappella palatina di Santa Barbara di Mantova, provincia devastata della quale si parla poco. C'è poi il sistema delle ville seicentesche tra San Felice, Cavezzo e Staggia.
Anna de Rossi, responsabile di Italia Nostra di San Felice cita Villa Franca a Medolla o Villa Raisi o anche il convento di San Bernardino. Spesso parliamo di ville che i proprietari hanno restaurato a prezzo di sacrifici in 25 anni e che hanno messo a disposizione della comunità. In questi casi le opere private vengono esposte alla demolizione se c'è rischio per la sicurezza pubblica». Italia Nostra denuncia così la campagna di istigazione da parte dei sindaci nei confronti della popolazione. L'episodio di aggressione ai danni di Vittorio Sgarbi è una spia inquietante. «La gente è esasperata dalla paura e i sindaci spesso la assecondano. Così pensano che sia più facile ricostruire ex novo, ma non sanno che rischiano di cancellare un patrimonio millenario che andrà per sempre perduto«. Soluzioni? Italia Nostra ne ha tante. «Basta soltanto che ci ascoltino - dicono dalla sede di Bologna».

A due mesi esatti dal terremoto, mentre le tendopoli vengono rivoluzionate non senza incomodi per dare la possibilità ai mussulmani di fare il Ramadan iniziato ieri, con pasti anche notturni e allestimento di centri di preghiera, la delegazione di Italia Nostra non è ancora stata ricevuta dal governatore Errani. «Dice che adesso ci sono altre priorità...»

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