Ingroia smentisce se stesso

C'era un tempo in cui Ingroia criticava le toghe che si candidavano nel comune in cui avevano svolto funzioni giudiziarie. Peccato che lui sia candidato (ma ineleggibile) nel collegio di Palermo e sia capolista in Sicilia

Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia
Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia

C'era un tempo non tanto lontano in cui Antonio Ingroia professava idee chiare sulla discesa in campo dei magistrati in politica. Idee che, a risentirle oggi, stonano con i comportamenti e con le dichiarazioni dell'ex procuratore aggiunto di Palermo.

Era il 27 luglio del 2011 quando, in risposta alla provocazione di un giornalista del Corriere della Sera che caldeggiava la sua candidatura a sindaco di Palermo, Ingroia rispondeva così: "Fermo restando il diritto di ciascuno di sottoporsi al giudizio degli elettori per iniziare un nuovo percorso personale, questo diritto non si affievolisce di fronte all'inopportunità di candidarsi come sindaco proprio nel medesimo comune ove si è esercitata fino a quel momento una funzione giudiziaria? Io credo proprio di sì''.

Insomma, la posizione sembrava netta: un magistrato, se proprio deve saltare il fosso, è meglio che lo faccia lontano dal posto in cui ha svolto indagini. Tutto questo perché, spiegava ancora l'ex pm sul mensile "I love Sicilia": "Agli occhi del cittadino il magistrato non soltanto deve essere imparziale ma deve anche apparirlo''.

Dunque per Ingroia il problema si pone (o si poneva?) quando una toga si candida nello stesso comune in cui ha esercitato la sua funzione perché è in quel caso che sorge il "rischio che si alimentino dubbi e sospetti sulla pregressa attività giudiziaria, che possa avere indebolito il suo potenziale avversario politico. Ed ancora più delicata si fa la questione allorquando l'incarico politico non venga assunto sulla base di un'investitura da parte dei cittadini-elettori, ma in virtù di una designazione fiduciaria per ricoprire cariche politico-governative, designazione proveniente da un'autorita' di governo locale espressione di una parte politica''.

Come si coinciliano queste dichiarazioni con la candidatura di Ingroia nel collegio di Palermo? E lo stesso non può valere per la candidatura come capolista al Senato e alla Camera in Sicilia? Che differenza c'è tra fare il sindaco o il candidato premier? Insomma, nonostante le numerose inchieste svolte nella terra del Gattopardo, citando lo stesso Ingroia, "non c'è il rischio che si alimentino dubbi e sospetti sulla pregressa attività giudiziaria"?

Qualche mese dopo, precisamente il primo novembre 2011, il magistrato siciliano ribadiva il proprio pensiero aggiungendo altri dettagli. Commentando le voci che all'epoca lo davano prossimo all'ingresso in politica (il balletto mi candido, non mi candido era solo agli albori), Ingroia smentiva spiegando che "in linea di principio i magistrati non possono essere espropriati del diritto di elettorato attivo o passivo. Però ci sono profili di opportunità: non è opportuno che un magistrato si candidi in un luogo dove ha esercitato le funzioni fino a poco tempo prima. Inoltre c'è il tema del rientro in magistratura dopo l'esperienza politica e qui c'è un dibattito in corso: c'è chi si dimette totalmente come ha fatto il ministro Palma, ma lo ha fatto dopo che è stato nominato ministro alla Giustizia, oppure c'è chi si impegna a non tornare in ruoli e in funzioni calde, come ha fatto Giuseppe Ayala".

Su quest'ultimo punto, al momento, Ingroia non ha seguito nessuno dei due casi citati, ma ha chiesto l'aspettativa. Mentre per quanto riguarda il primo punto, Ingroia ha considerato ugualmente opportuno candidarsi come capolista in Sicilia e nel collegio di Palermo, luogo in cui fino a pochi mesi fa ha esercito le sue funzioni. Peccato però che sia ineleggibile. Perché, come recita l'articolo 8 del Testo Unico delle Leggi Elettorali (D.P.R.

30 marzo 1957, n 361): "I magistrati - esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori -, anche in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e di elezioni suppletive, non sono eleggibili nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non sono in ogni caso eleggibili se, all'atto dell'accettazione della candidatura, non si trovino in aspettativa". Il rispetto delle regole vale per tutti, tranne che per Ingroia?

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