La festa pagata da Travaglio e quei pm che non pagano mai

Il leader di Italia viva, Matteo Renzi, racconta il 50esimo compleanno dopo l'assoluzione sul caso Open: "Oggi sono felice"

La festa pagata da Travaglio e quei pm che non pagano mai

Nel frattempo mi accorgo di invecchiare. Nulla di grave, eh. Invecchiare non sarà granché, ma come dice la celebre battuta, l'alternativa a invecchiare è peggio. Ho compiuto cinquant'anni nel gennaio del 2025. Da piccolo, quando fantasticavo su come sarei stato a cinquant'anni, mi immaginavo già vecchio, quasi in pensione, anche perché era un altro mondo. Tutti noi vediamo oggi settantenni che fanno le maratone e la terza età è completamente diversa da quella che ci immaginavamo da giovani. Bene così. Andrà sempre meglio, peraltro: l'età media cresce, la qualità della vita migliora, la medicina fa passi da gigante. E se c'è un settore in cui l'intelligenza artificiale ci fa fare progressi enormi è proprio questo. Malattie devastanti che hanno ucciso i nostri nonni sono ormai curabili senza troppi problemi. E mese dopo mese la ricerca fa passi in avanti che commuovono il cuore.

A cinquant'anni ho festeggiato con i miei amici, come era giusto che fosse. Il caso ha voluto che il mio compleanno sia arrivato qualche giorno dopo la fine dell'incubo Open. Chi ha letto Il mostro sa che cosa ho dovuto subire in questi anni. Un'indagine farlocca, fondata su atti illegittimi tra inutili sequestri annullati dalla Cassazione e vigliacche intercettazioni giudicate illegali dalla Corte costituzionale. Cinque anni di una gogna mediatica che ha azzoppato il progetto politico di Italia Viva, e che viste le carte non doveva neanche partire. Perché noi non abbiamo ricevuto finanziamenti illeciti e la Leopolda è fatta da gente per bene che partecipa a spese proprie, perché amava e ama fare politica.

Il Pm che mi ha aggredito, arrestando ingiustamente i miei genitori e indagando me più volte, oltre a indagare mia sorella, mio cognato e i miei amici, va in pensione tre giorni dopo la sconfitta più cocente della sua carriera. Va in pensione senza pagare dazio per quello che ha fatto a una persona per bene. Ma io non credo alla vendetta: penso sia importante continuare a combattere per una giustizia giusta, per i cittadini comuni che non hanno le possibilità mediatiche e logistiche che ho avuto io. Mi spiace che il principio «chi sbaglia paga» non valga per quelli come lui, ma non mi interessa più pensarci: Alda Merini diceva che la miglior vendetta è la felicità. E io sono felice. Nelle ore dell'assoluzione ringrazio Agnese per essere stata una roccia, ringrazio Francesco, Emanuele ed Ester per non aver mai dubitato del loro babbo e non era facile , ringrazio gli avvocati, i miei amici, i collaboratori, i colleghi. Tutti.

Ma mi dico anche che non basta. E allora prendo il risarcimento di una causa per diffamazione vinta contro Marco Travaglio e Il Fatto Quotidiano e la investo. In Borsa? Macché. In festa! Il mio compleanno è una festa per tutti quelli che hanno patito con me. All'ex Teatro Tenda di Firenze arrivano un migliaio di persone da tutta Italia e festeggiamo con l'entusiasmo di chi sa che ha vinto la giustizia e perso il giustizialismo. E di chi sa bene che, dopo quello che abbiamo passato, cosa potrà mai farci un emendamento ad personam regalatoci dalle sorelle della Garbatella? Possono aggredirci quanto vogliono, noi siamo forti e fortunati.

La sera, la festa si sposta con gli amici in Versilia. Invito tra gli altri i ministri del governo del 2014 in una bella rimpatriata. Balliamo a lungo, accompagnati dalla fantastica Anema e Core band di Capri di Gianluigi Lembo. Alla fine i miei figli si avvicinano al palco. Francesco canta come me. Non benissimo, ecco. Ma ne è consapevole e dunque fa il presentatore: la chiacchiera non gli manca, anche qui chissà da chi ha preso. Introduce i suoi fratelli. La chitarra del mancino Emanuele, la voce angelica di Ester. E cantano Anna e Marco, una canzone di Lucio Dalla che con Agnese ascoltavamo al tempo dei primi appuntamenti, quando ancora eravamo soliti registrare le audiocassette, altro che Spotify. Finita la canzone, bellissima, parte l'applauso. E prima di riprendere a ballare sale sul palco, col tempismo del grande professionista che è, Pier Ferdinando Casini. Che dice: «Ragazzi, siamo qui per festeggiare Matteo. Ha fatto tutto, ha fatto anche troppo. Ma il successo più grande suo e di Agnese sono questi ragazzi più che la politica». Parte l'applauso. Ha ragione lui, mi dico dentro di me. Ma siccome non voglio commuovermi la butto sul ridere e dico ad alta voce così che mi sentano tutti: «Pier, inutile che tu provi la campagna elettorale. Tanto nel 2029 Mattarella fa il terzo mandato e ti freghiamo un'altra volta». Risate, abbracci, affetto.

Ma alla fine ha ragione Casini. La politica è bellissima, la vita di più. Quando i figli cantano e fanno festa insieme agli amici ti rendi conto che loro sono il valore più grande e più vero di questi cinquant'anni. Fare politica è meno bello che vivere certe emozioni. E tuttavia fare politica serve proprio per i tuoi figli e per i figli di tutti. L'Italia non merita di diventare un Paese dal quale fuggire.

Un Paese che premia l'amichettismo e non il merito.

Un Paese che odia gli avversari e non riconosce le qualità.

Un Paese che spende in marchette e non investe in futuro.

No, l'Italia non si merita il governo degli influencer.

L'Italia ha diritto di tornare alla Politica con la P maiuscola.

E noi abbiamo il dovere di provare a dare una mano.

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