«Io in galera da innocente: obbrobrio giudiziario»

«Chi non subisce l'onta della galera da innocente non può capire. Vivere dietro le sbarre è come precipitare all'inferno, un incubo straziante e senza fine. La carcerazione preventiva è un obbrobrio che andrebbe cancellato dal codice penale. Ma grazie alla Madonna alla fine la verità è stata coraggiosamente riconosciuta in un'aula di tribunale». Raccontare l'angoscia di Alberico Gambino, ex sindaco di Pagani e mister preferenze in quota Pdl alle elezioni regionali in Campania, non è facile. Occorre muovere da queste parole affidate agli avvocati Alessandro Diddi e Giovanni Annunziata per ripercorrere una vicenda, come tante, di straordinaria ingiustizia cautelare. Accusato di concussione e associazione per delinquere finalizzata allo scambio elettorale politico-mafioso, dopo quasi due anni di detenzione (tra galera e arresti domiciliari) Gambino è stato assolto e il gigantesco impianto accusatorio, puntellato da pentiti allevati in batteria, smantellato e ridotto in polvere. Oggi l'ex sindaco è un uomo libero, anche se non tornerà mai più quello di prima.
Stando ai numerosi fatti-reati contestati nell'ordine di custodia che nel 2011 lo spediscono in cella, Gambino oltre ad aver vessato continuamente un imprenditore per ottenere favori e posti di lavoro, sarebbe stato un uomo di riferimento del feroce clan «Fezza D'Auria Petrosino» che da anni imperversa nell'agro nocerino. L'arresto, controverso, arriva al culmine di un'inchiesta alquanto travagliata. Sfogliando i primissimi atti delle indagini si scopre infatti che un bel giorno l'imprenditore bussa e si presenta alla Tenenza dell'Arma di Nocera Inferiore dove trova 6 carabinieri pronti ad ascoltarlo. Racconta le prepotenze del sindaco di Pagani che minacciando ritorsioni amministrative («Se non fai questo, ti faccio chiudere il centro commerciale») gli imponeva, fra l'altro, assunzione di personale segnalato. L'indagine va avanti ma quand'è il momento di attaccare i telefoni e intercettare le utenze di Gambino, il gip respinge la richiesta. Non ci sono gli estremi. Niente da fare. Fino a quando, per una serie di rocambolesche coincidenze (sic!) il fascicolo passa alla direzione distrettuale antimafia di Salerno dove l'imprenditore, solo al nono interrogatorio, fa cenno alla famiglia camorristica della zona contestualizzandola all'indirizzo del Gambino per alcune frasi, a suo dire, pronunciare dall'allora sindaco di Pagani. A quel punto scatta, come suol dirsi, l'articolo 7: l'aggravante mafiosa, e dunque l'ingresso in cella. Il pm chiede l'arresto, il gip stavolta lo concede, il Riesame lo annulla per assenza di riscontri «mafiosi». Dopodiché accade l'impensabile. Col ricorso dei pm in Cassazione si scopre che all'improvviso, lo stesso giorno, cinque pentiti rivelano ciò che non avevano mai detto prima. E cioè che Gambino era da sempre cosa loro attraverso il sistema del voto di scambio, favori, posti di lavoro. I verbali fanno sobbalzare la Cassazione che annulla l'ordinanza del tribunale della Libertà, così che Gambino torna dentro. A dibattimento ogni accusa dell'imprenditore, ogni dichiarazione dei pentiti senza riscontro, viene disintegrata.

Con l'eccezione per una «concussione» dovuta a una richiesta di Gambino all'imprenditore per far lavorare un padre di famiglia con 4 figli a carico. Il pm che aveva chiesto 9 anni di galera all'ex sindaco in ultimo si era opposto alla concessione dei domiciliari: gli è andata male. E Gambino è tornato libero.

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