Uno spettacolo per rendere giustizia, la prima volta in teatro, alla tragedia degli istriani, fiumani e dalmati costretti all'esodo da Tito. Il cantautore Simone Cristicchi che si innamora dell'idea portandola al debutto a Trieste. Una brutta storia di abili pressioni per snaturare l'opera inserendo i pezzi forti dei comunisti e della minoranza slovena, che sminuiscono o spiegano le foibe come reazione al fascismo.
Magazzino 18, che prende il nome dal deposito nel porto di Trieste dove ancora oggi ci sono le masserizie abbandonate degli esuli, debutterà martedì al teatro Rossetti del capoluogo giuliano. Una prima preceduta da accese polemiche sui conti della storia. «Cristicchi è stato tirato per la giacchetta per fargli inserire dei cambiamenti cari agli sloveni. Non hanno ancora il coraggio di riconoscere i danni provocati dai comunisti in queste terre» denuncia, Gilberto Paris Lippi, ex presidente di centrodestra del Rossetti.
Quasi a metà spettacolo una bambina leggerà in sloveno la lettera di una coetanea morta nel lager di Arbe, voluto dal nostro esercito nel Carnaro, con i sottotitoli in italiano. La seconda «aggiunta» ha fatto alzare ancor più la polemica. Si tratta della citazione da un libro di Boris Pahor sull'incendio della Casa del popolo sloveno all'hotel Balkan a Trieste. Fatto controverso accaduto nel 1920 ed indicato dagli sloveni come l'inizio dei drammi ai confini orientali. Pahor, noto scrittore, è un ultrà nazionalista sloveno da sempre. E viene visto dagli esuli come fumo negli occhi per le sue tesi «riduzioniste» sulla tragedia degli italiani costretti a fuggire dalla violenza titina.
«Non abbiamo subito pressioni, ma ricevuto consigli di integrare nello spettacolo questo o quell'altro. Si è deciso di inserire la bambina slovena, che ritenevamo utile per la nostra trama e non Boris Pahor. Le polemiche me le aspettavo: la storia degli esuli non è stata ancora metabolizzata pienamente né a sinistra, né a destra che spesso la usa come una clava» dichiara a il Giornale, Jan Bernas, coautore di Magazzino 18.
«Da ambienti di estrema sinistra e sezioni locali dell'Anpi (i partigiani italiani, nda) sono arrivati degli attacchi molto duri. Senza neppure aver visto lo spettacolo accusano Cristicchi di essere un revanscista, che nega i crimini del fascismo. Ci hanno spedito mail e sono riusciti a scrivere su Facebook che gli infoibati sono morti perché fascisti» racconta Bernas. Lo spettacolo è tratto dal suo libro sugli esuli: Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani.
A Trieste i cambiamenti li voleva il centrosinistra. Quello più provocatorio, alla fine cassato, delle righe di Pahor «deve essere stato ispirato dietro le quinte da Guido Botteri, consulente storico del Rossetti (dove ci sarà il debutto, nda) di origine cattocomunista» spiega Paolo Sardos Albertini della Lega nazionale, baluardo dell'italianità.
Sulla bambina slovena vittima del campo di concentramento, Milos Budin, presidente di centrosinistra del teatro, ammette con il Giornale: «Ho detto a livello di pour parler, che mi sembrava un inserimento corretto, ma lungi da me intromettermi nella stesura del testo. Con Cristicchi ho sempre auspicato, anzi ne sono convinto, che questo spettacolo non porterà nuove lacerazioni a Trieste». Il centrodestra ha ritrovato l'unità: Fratelli d'Italia chiede le dimissioni di Budin, il Pdl denuncia «che per parlare di foibe ed esodo bisogna sempre pagare un dazio storico alla sinistra».
Molti esuli sono inviperiti.
L'Unione degli istriani ha annunciato la diserzione in massa dalla prima. Altri vorrebbero scatenare una valanga di fischi o intonare il Va pensiero. Albertini, che ci sarà, annuncia: «Preferisco non applaudire facendo scendere il gelo in sala, se qualcosa non mi piace».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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