Certo ora è facile, spargere lacrime per rimpiangerla. «Ma se fosse stata qui in Italia, l'avrebbero spedita a morire a Tunisi», dice Piero Ostellino. Parla al telefono della Thatcher, nel giorno in cui è morta e però dice che «chi fosse, e che cosa fosse la sua politica, solo i quattro gatti liberali l'avevano capito, allora». Gli altri - ci fosse stata una Thatcher, fosse per caso comparsa sul suolo nazionale - le avrebbero fatto fare la fine di Bettino Craxi (ieri è spuntata una frase dagli appunti privati del leader socialista, che scriveva: «Ha restituito vitalità e prospettiva a un'economia che languiva e a un Paese un po' opacizzato, conservatore e nazionalista»).
Ora la celebreranno tutti?
«Certo. Ma in Italia il novanta per cento lo farà solo per retorica, per convenzione: in realtà la maggior parte non l'ha mai capita».
Perché?
«La Thatcher era un uomo politico che sapeva sfidare l'opposizione per imporre le sue idee. Aveva operato una scelta politica precisa, con un suo prezzo, per riscattare un'economia morta. E la resuscitò».
Ma spaccò il Paese e i sindacati.
«È scontato che i sindacati proteggano i lavoratori, ma le Trade Union erano ormai un ostacolo allo sviluppo e all'economia. E quando si arriva a questo punto ci vuole qualcuno che dica: la ricreazione è finita, ora dobbiamo salvare l'economia».
Perché pochi possono capirlo?
«Per una ragione semplice e storica: non siamo inglesi. Non abbiamo fatto nascere il liberalismo, attraverso le guerre di religione. È da lì che Hobbes, Locke e tutto il pensiero liberale si è sviluppato: dal confronto di posizioni antitetiche. La Thatcher lo ha trasferito sul piano politico, senza paura di spaccare il paese».
E da noi non potrebbe succedere?
«Da noi? Noi non abbiamo mai avuto neanche una riforma, solo una controriforma. Da noi attaccavano Craxi, che era molto meno riformista della Thatcher. Da noi fare riforme, anche di sinistra, è impossibile: siamo un Paese legato alle corporazioni, e le corporazioni non vogliono riforme».
Ora si dice: ci fosse una Thatcher anche qui...
«Ma se spuntasse uno o una come lei, le farebbero la guerra e la farebbero morire a Tunisi. L'hanno sempre criticata, perché dicevano che era di destra: in Italia, appena uno è liberale gli dicono che è di destra. Ma non è così».
E com'è?
«È che il liberalismo in Italia non è mai arrivato, nel senso che non è mai arrivata la cultura liberale: solo una via di mezzo fra solidarismo cattolico e collettivismo marxista. Un pasticcio».
Anche a Blair è stato rinfacciato di essere un erede della Thatcher. Sempre le stesse accuse?
«Non si è mai persa questa ostilità. Ma in Gran Bretagna è stato possibile che al potere salisse un uomo come Blair, un riformista laburista. Uno che ha capito che il Paese doveva svegliarsi».
Alla Thatcher non si perdonava neanche la guerra delle Falkland.
«Ma quella fu una guerra della grande tradizione imperiale. Il colonialismo inglese ha portato nel mondo la sua cultura politica liberale: in America, in India. La guerra delle Falkland è stata una manifestazione di questa idea».
Chi sono stati i più critici in Italia?
«Tutta la cultura politica nazionale. Che non è fatta per capire la Thatcher: per lei la politica era competizione, conflitto, che poi è il modo, diceva Einaudi, in cui avviene il progresso in democrazia. Da noi invece si tira fuori subito un'altra parola: dialogo. E si lascia tutto così com'è».
Nessuno l'ha capita?
«A parte i quattro gatti liberali... Il Pci le si opponeva, ma anche tutta la generalità degli intellettuali. Del resto la nostra è la peggiore intellighenzia del mondo, incolta, ideologica e non empirica: guarda non ai fatti, ma alle nuvole.
E ora?
«I giornali saranno pieni di retorica colta e conformista. Perché dei riformisti si fa l'elogio da morti. Ma da vivi li si vuole morti».
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