L'addio a Berlusconi tra lacrime e cori. L'Italia piange unita

La macchina che corre fra Arcore e Milano, inquadrata dai schermi posizionati dentro i Duomo, sembra una metafora della vita. Tutta la grandezza dell'uomo ora è mistero e un groppo in gola

L'addio a Berlusconi tra lacrime e cori. L'Italia piange unita
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La macchina che corre fra Arcore e Milano, inquadrata dai schermi posizionati dentro i Duomo, sembra una metafora della vita. Tutta la grandezza dell'uomo, con contrappasso inevitabile di feroci polemiche, ora è mistero e un groppo in gola. Poi, finalmente il feretro entra nel Duomo e la tensione si scioglie in un applauso lungo, a tratti ritmato, in crescendo. Quasi la folla accalcata desiderasse un bis, come ai concerti. Il corteo percorre la lunghissima navata: davanti c'è il valletto dolente che regge fra le mani la foto di Silvio sorridente, poi dietro la bara in mogano, coperta di rose bianche e rosse, e dietro ancora i familiari. Marta Fascina, la compagna dell'estrema stagione, e Marina, la primogenita, entrano insieme mano nella mano.

Ovunque, militari, corazzieri, spade scintillanti, la tromba sempre struggente. Fuori c'è la folla, discreta, non oceanica, forse quindicimila persone intimidite almeno all'inizio dal cerimoniale di Stato, solenne, liturgico, talvolta inevitabilmente formale.

Le due panche in prima fila sono occupate dallo Stato e dalla famiglia. Di qua, guardando l'altare a destra, ci sono Fascina, muta nel dolore che l'ha scavata, i cinque figli - Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora con la veletta, e Luigi, più Paolo Berlusconi, editore del Giornale. Sull'altro lato i vertici dello Stato: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quelli di Senato e Camera Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, la premier Giorgia Meloni, il governatore Attilio Fontana. E al suo fianco Giuseppe Sala, il sindaco con cui spesso ha polemizzato.

Ma oggi non è giorno di contrapposizioni, anzi queste cerimonie aiutano a superare muri, barriere e diffidenze. Sotto le volte smisurate del Duomo, proiettate verso l'eternità, ci si sente fatalmente parte di una comunità, di una storia comune, di un Paese che va oltre le differenze e le battaglie di tutti i giorni.

Di questo parla quell'applauso che non vuole finire: Silvio Berlusconi, con il suo talento smisurato e i suoi eccessi, è parte di questa identità che lui stesso ha contribuito a forgiare. Ed è rassicurante e consolatorio vedere uniti nella commozione pezzi della maggioranza e dell'opposizione, il commissario europeo Paolo Gentiloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani che riceve grappoli di condoglianze. E poi tanti imprenditori, i volti di Mediaset, personaggi dello spettacolo e del calcio, da Massimiliano Allegri a Adriano Galliani, accartocciato su se stesso, e tanti altri. Enrico Mentana è seduto di fianco ad Alberto Zangrillo, il medico che ha cercato in tutti i modi di allontanare questo momento, altri come Flavio Briatore vagano alla ricerca di una sedia che non si trova.

La bara viene adagiata sul pavimento e questo accresce la solennità del momento: se l'auto in movimento chissà perché echeggiava sfumature della saga kennedyana, ora quell'immagine evoca le esequie di un re.

Il funerale è maestoso ma il ritmo è agile. Milano non ha dimestichezza con questa fastosità e non ama la retorica: per tutto il tempo del rito resta nei presenti come una punta di stupore per essere tutti insieme là dentro.

La predica dell'arcivescovo Mario Delpini ha un incipit folgorante. Poesia pura: «Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena». Si sente la lezione di don Giussani, quell'ansia di compimento che è la scintilla dell'esistenza. «Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini». I figli del Cavaliere annuiscono. E quelle parole tridimensionali ci fanno quasi urtare quella brama inesauribile che è stata la cifra di Berlusconi.

Grandezze e limiti. L'arcivescovo vira verso le contraddizioni: «Quando un uomo è un uomo d'affari, cerca di fare affari. Guarda agli affari e non ai criteri. Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Un uomo politico è sempre un uomo di parte. Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d'affari».

La messa scivola verso la conclusione. Il trombettiere dell'Aeronautica militare intona il Silenzio d'ordinanza. Parte un nuovo, lungo applauso. Battono le mani anche Paolo Berlusconi e i cinque nipoti, accanto a lui. Fascina è scossa da tremiti sempre più forti, accarezza la bara che esce.

Non ci sono orazioni laiche. Solo abbracci e strette di mano. I Berlusconi arrivano sul sagrato: sventolano le bandiere del Milan, partono i cori: «C'è solo un presidente». Per un attimo sembra una serata da Champions, ma è il congedo. Semplice nella sua magniloquenza e venato di quella malinconia profonda che accompagna sempre i grandi che se ne vanno. L'infinito e il tempo che finisce.

I figli ora salutano la folla: «Grazie».

Meloni posta un video: «Grazie Silvio, non ti dimenticheremo». Il leader ungherese Orban a quel punto se n'è già andato.

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