L'equilibrismo di Matteo. Trattare per non decidere

Il leader ottiene da Alfano le dimissioni di Gentile e cerca di riaprire il tavolo con Verdini

L'equilibrismo di Matteo. Trattare per non decidere

Roma - Diceva il vecchio saggio: quando vedi un nodo, fingi di ignorarlo e aspetta che si allentino i fili. Poi tira. Non si sa se Matteo Renzi abbia fatto tesoro dell'insegnamento cinese (i vecchi saggi sono sempre made in China), ma di sicuro ha impresso una variante: tirare il filo di un'altra corda, quindi tirare le somme. Inventiva o spregiudicatezza la cosa pare funzionare. Fino a ieri sera, le due nuove tegole cadute sul governo sembravano minacciare fortemente la stabilità dell'intero caseggiato. Il caso Gentile aveva molto irritato il premier, arrivato a definire in privato «fatti molto gravi» quelli attribuiti al sottosegretario di Alfano. Però, aveva ragionato, guai a prendere di petto la questione, anche perché Renzi temeva di scoperchiare il vaso di Pandora, quella «galleria di gattopardi», come l'ha chiamata Nichi Vendola, nella quale più di un avversario politico (ma anche qualche amico) intravede il vero vizio d'origine del governo. «Sarebbe bello che anche Alfano ne prendesse atto, così da rafforzare la stabilità cui tiene tanto». Ma i contatti avviati da intermediari fino a quel momento non erano andati affatto in porto, anzi avevano finito per rafforzare l'ansia difensiva di Angelino.

Nel frattempo, però, la «complessità» che Renzi sta scoprendo in ogni angolo della sua impresa a Palazzo Chigi, gli ha fornito il filo giusto da tirare. Quello più aggrovigliato che mai della legge elettorale, una matassa tanto ingarbugliata su se stessa - tra emendamenti Lauricella, D'Attorre, lodi Pisicchio e veti incrociati - da concedere a Pippo Civati l'Oscar per la sintesi migliore. «Fare in fretta, ma fare finta: facendo in fretta si salva l'accordo con Forza Italia, facendo finta quello con Alfano». Se a questo si aggiunge la riunione dei gruppi del Pd saltata i in tarda serata (il premier saggiamente aveva dato buca e il Pd s'è attorcigliato su se stesso), un lungo colloquio in Transatlantico tra Cuperlo e Vendola, che faceva temere nuovi distinguo della minoranza interna del Pd, ecco che motivi per sperare da parte di Renzi erano davvero pochini. Almeno fino a quando non ha immaginato di fare di necessità virtù e di collegare come in un corto circuito i fili diversi. Così nella telefonata pomeridiana con Alfano, alla ricerca di una lunga via per le riforme, è bastato evocare quella sottile tentazione: «Se tu fai il Gentile...», per mettere la testa del sottosegretario sul piatto di un'interpretazione per così dire «estensiva» dell'accordo raggiunto con Berlusconi.

Anche perché, come si sono premurati di spiegare in tutte le salse i tecnici scesi in campo, l'Italicum così com'è non funziona e «un qualche collegamento con le riforme istituzionali, in particolare con la soppressione del Senato bisognerà trovarlo». Una formuletta magica: «postdatare l'Italicum», che pare aver fatto andare su tutte le furie Denis Verdini, nonostante le rassicurazioni di Renzi sul rispetto del patto.

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