Roma - Il Pdl riparte dal «fattore P». P come primarie. E P come presidenzialismo, anche nella mezza porzione alla francese, sul quale il partito sta spingendo a fondo, gettando il cuore oltre l’ostacolo rappresentato dai tempi stretti, dalle incertezze degli avversari, dalla necessità di garantirsi alleanze «di scopo» magari pagando qualche ticket. Molto, se non tutto, per quella che, in via dell’Umiltà ne sono convinti, è l’unica riforma istituzionale che gli italiani di qualsiasi schieramento vogliono davvero. E se il piano A, vale a dire il varo del semipresidenzialismo prima della fine della legislatura, dovesse fallire, c’è sempre il piano B: accreditarsi agli occhi dell’elettorato come unica forza ad aver davvero provato a dare all’Italia un sistema istituzionale agile, efficiente e lampante e lasciare agli altri, in particolare al Pd, il cerino acceso del flop.
Il presidenzialismo in salsa Pdl sta per sbarcare al Senato, sotto forma di emendamento al disegno di legge costituzionale in materia di riforma del Parlamento e forma di governo. La discussione dovrebbe riprendere martedì, salvo slittamenti. In termini numerici la possibile approvazione della riforma con uso di presidenzialismo è legata, oltre che all’annunciato appoggio del Fli, alla possibilità di incassare l’accordo della Lega, che essendo molto interessata al Senato federale potrebbe utilizzare il sì al presidenzialismo come merce di scambio. Senza contare che anche l’Udc è tornata in gioco, manifestando l’intenzione di non far saltare il banco in prima persona. Certo, dopo aver superato le forche caudine del Senato il presidenzialismo si arenerebbe con ogni probabilità alla Camera, dove i numeri non sorridono al Pdl. Ma per il Pdl è comunque fondamentale andare il più avanti possibile e rendere così più plastiche le incertezze e i machiavellismi altrui.
Alfano, che ieri ha parlato anche di ddl anticorruzione («Spero che non ci sia la fiducia, comunque non faremo cadere il governo») spinge anche sulla partita meno prestigiosa ma più abbordabile, quella della legge elettorale. Ieri il segretario del Pdl ha dettato i tempi: «Tre settimane per trovare un’intesa sulla legge elettorale è la mia proposta che Bersani ha accettato. Trovata l’intesa, si riuscirà a cambiare l’attuale sistema di voto in breve tempo in Parlamento. Il Pdl si impegnerà con tutte le proprie forze per evitare che si torni a votare con il porcellum». Alfano ieri ha ricevuto anche la sollecitazione via twitter di Laura Ravetto: «Al tavolo delle regole per la legge elettorale - l’appello della bionda deputata piemontese - siedano anche delle donne».
E le primarie? Si sa solo che ci saranno e già questo è un mezzo shock nel centrodestra. Tutto il resto è da stabilire. Si tratterà solo di primarie di lista, come da kit base, o se diventeranno, come si auspica da più parti, primarie di coalizione per la scelta di un candidato comune ad alleati che al momento non ci sono? E poi chi saranno i candidati? L’unico che al momento pare certo è Alfano, che rappresenterebbe l’establishment del partito, la soluzione gerarchica e non di rottura. Al momento i possibili sfidanti sono Daniela Santanchè, il sindaco di Roma Gianni Alemanno (che ieri ha indicato la palingenesi del Pdl come «partito aperto alla sussidiarietà ovvero capace di aprirsi alla società civile senza presunzioni dirigiste ed egemoniche»), quello di Pavia, il rottamatore Alessandro Cattaneo, il presidente del Lazio Renata Polverini (che però ieri si è smarcata: «Ho un patto d’onore con gli elettori del Lazio che fino al 2015 mi hanno scelto come presidente»).
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