“Siamo diventati il bancomat dello Stato, ma adesso basta, per quattro ore chiudiamo”. C’è una parte del paese che ha ipotecato la speranza. Spesso la politica la definisce la colonna portante dell’economia italiana, salvo poi sgretolare giorno per giorno le fondamenta. È il popolo delle partite Iva, degli artigiani e delle piccole e medie imprese. Un popolo tartassato di tasse, bistrattato e spremuto fino all’osso, che, nonostante tutto, vuole credere ancora nel sistema paese. È stanco dei proclami, dei cambi di rotta, dell’incertezza. Vuol pagare le tasse, onorare i propri impegni, contribuire al benessere economico, ma si trova davanti un muro invalicabile e scivoloso che si chiama ora Stato, ora burocrazia, ora banche.
Ecco dunque che si trovano nuove forme di protesta nella speranza che la politica porga l’orecchio (non quello da mercante), ma ascolti problematiche conosciute da tempo. E soprattutto agisca. Il 27 novembre commercianti e piccoli imprenditori incroceranno le braccia per quattro ore. “Proviamo a dare un segnale forte, anche se facciamo un danno anche a noi, ma magari servirà qualcosa”, spiega Luca Peotta, imprenditore, portavoce nazionale di Imprese che resistono (ICR) e ideatore dell’iniziativa che in appena quattro giorni ha raccolto migliaia di adesioni su Facebook.
“Io ho 45 anni, sono 25 anni che faccio impresa e non ho mai faticato tanto per resistere. È come avere un drogato in casa. Siamo disposti a fare sacrifici, ma per vedere risultati”, spiega Peotta. Scorrendo i numerosi commenti scritti sul social network e ascoltando la voce di alcuni di questi cittadini, oltre alle critiche, ti trovi davanti a una serie di proposte concrete. Una sorta di agenda per rilanciare il Paese. “La Legge di Stabilità in realtà si dovrebbe chiamare di instabilità, non si comprende nulla, ma come facciamo noi impreditori a capire quale strada stiamo percorrendo. Un esempio? La rateizzazione di Equitalia da 74 rate a 120 è una balla, almeno fino a che non verranno firmati i decreti attuativi e finché non si capirà chi avrà diritto a usufruirne”, denuncia l’ideatore della serrata. E ancora: “La burocrazia statale è un'ameba che costa miliardi di euro all'anno. L’Iva è stata aumentata, ma perché non fare un provvedimento che premia il cittadino che nell’arco solare ha generato migliaia di euro di imponibile operando una riduzione del 25% sulla sua dichiarazione dei redditi? Perché non premiare gli imprenditori che si comportano bene?”.
E che dire dell’Irap? “È una tassa allucinante. Vada da un imprenditore francese o tedesco a spiegargli cos'è l'Irap. È davvero illogico che una azienda in perdita debba pagare tasse sul lavoro e sugli interessi che sono investimenti. Uno chiude l’anno con 10mila euro di utili e si trova un debito di imposte di 20-30 mila euro. Come si fa a essere competitivi?”, tuona Laura Costato, imprenditrice dal 1975 nel settore della viteria speciale. “Perché non abolire o ridurre gli incentivi statali, che non vanno mai alle piccole imprese e non pagare l'Irap in modo diverso, per esempio dando il 50% ai miei dipendenti in busta paga esentasse e l’atltro 50% facendo opera di manutenzione, servizi e acquisto beni per l'impresa?”, si chiede Peotta. Che aggiunge: “Io per 5 anni ho dovuto tagliare l'impossibile, tutti i costi indiretti, fino ad arrivare a quelli del personale, l'unica cosa che rimane è andare all'estero. La demagogia la fa il politico, non l'imprenditore. Noi ci dobbiamo confrontare con un mercato globale. Io non posso essere competitivo nemmeno con la Francia perché l'energia mi costa il 30% in più, il credito il 30% in più, il dipndente a livello di lordo mi costa di più, e poi ci sono le tasse e la burocrazia”.
Già, la burocrazia. “E’ da giugno che aspetto che passino sti 30 giorni .....nel frattempo mi hanno fatto un pignoramento mobiliare per tutelarsi”, denuncia Marco Mastaglio. Ne sa qualcosa Luca Castigliego, presidente di Spedapi nonché presidente di Confapi trasporti Milano: “Il governo non ha snellito nulla, al contrario la burocrazia è aumentata. La legge dei pagamenti entro 30 gironi in Europa c’è ma in italia non è stata ancora recepita. Il 90% del mio lavoro viene svolto con corrispondenti extracomunitari che mi pagano prima, perché se dovessi lavorare solo con italiani chiuderei subito. Io voglio competere con il francese, col tedesco, con l’olandese, ma le norme italiane e la burocrazia nel settore della logistica e dei trasporti internazionali non ce lo permettono (Leggi anche "Le follie burocratiche che ammazzano un'impresa"). E poi non stupiamoci se le merci dirette in Italia vengono sdoganate a Barcellona o a Rotterdam dove se ne fregano del Made in. In più oltre il danno la beffa, perché lo Stato si autoinfligge un danno enorme dal momento che la normativa europea prevede che il 25% dei dazi pagati resti al paese in cui arriva la merce”.
E poi c’è il capitolo delle banche. “Le attività produttive in Italia lavorano in perdita, produciamo debito ogni anno e l’accesso al credito è sempre in picchiata”, spiega Costato. “Perché chi ha regolarmente diritto a un rimborso deve presentare una fidejussione bancaria?”, si chiede Peotta. La speranza degli organizzatori è che il 27 novembre ci siano tantissimi "sportelli bancomati" chiusi e braccia incrociate. Per dare l’ennesimo segnale alla politica. Altrimenti, come spiega Costato, “la soluzione è andar via o ribaltare il paese”.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.