L'ira dei grandi chef contro i food-guardoni: «Basta foto ai piatti»

La rivolta iniziata negli Usa è arrivata anche da noi Clienti offesi: "Assurdo, ci trattano come ladri"

L'ira dei grandi chef contro i food-guardoni: «Basta foto ai piatti»

Alcuni grandi chef possono dare l'impressione di essere andati fuori di melone. Non nel senso che hanno esagerato con la macedonia di anguria, ma nel senso che ormai si comportano come divi. Ovviamente non ci riferiamo a tutti i grandi chef (non sia mai che poi la squisita categoria si offenda, andando subito in ebollizione), ma a quei cuochi-star (niente a che fare col doppio brodo Star) che sembrano trattare i loro commensali con una virgola di fastidio. È solo una sensazione, per carità. Anche considerato che nei ristoranti dei cuochi-star il conto finale è una mazzata mica da ridere. Si scopre così che ora, anche in Italia, ci sono chef di grido «proibiscono» ai propri ospiti sia di fotografare il piatto (inteso come pietanza) appena ordinato, sia la lista del menù. Giusto, sbagliato? Il dibattito è aperto. Anzi, servito. Ma che ci sarà di tanto segreto in quella cucina? Cosa temono i nostri eroi dei fornelli? Il senso del divieto ci sfugge, ma se si sta così diffondendo qualche ragione ci sarà. Innanzitutto la «moda» viene dagli Usa e quindi, come ogni cosa che arriva dall'America, esercita su di noi un fascino irresistibile: qualcuno chiama tale fenomeno «provincialismo», ma ammetterlo sarebbe decisamente provinciale. Fatto sta che l'avviso posto all'ingresso di certi ristoranti newyorkesi - No food photography! - è diventato terribilmente trendy, tanto che chi lo espone in Italia si atteggia a maître à penser (da non confondersi col, molto più modesto, metre di sala). Va detto che gli chef anti-foto (tra questi figurerebbe - almeno a dare credito alle notizie che circolano in rete - anche il nostro celebre Davide Oldani) non hanno tutti i torti. Accade infatti che non pochi fanatici appassionati di food photography arrechino disturbo ad altri clienti, aggirandosi tra i tavoli con telefonini spianati, pronti a postare i loro scatti con qualità di immagini che non rendono certo onore alle creazioni di alta cucina; tanto che molti locali, per evitare clic poco realistici, hanno deciso di mettere sui rispettivi siti internet le foto di tutti i loro piatti. Ma la polemica resta: se una fotografia è scattata con discrezione, è giusto o no porre dei veti? Una persona di buon senso come il nostro Oldani lo sa bene, e infatti nel suo ristorante il divieto è tutt'altro che rigido. Ci sono poi quelli che, come Niko Romito o la famiglia Santini, rispettivamente chef e proprietari dei celebri Casareale a Castel di Sangro e Dal Pescatore a Canneto sull'Oglio, avevano in un primo tempo vietato le fotografie dei piatti nei loro ristoranti, ma poi ci ha ripensato. Non così negli State, dove del «fenomeno» si è occupato addirittura il New York Times, schieratosi a favore degli chef pluristellati che al divieto di foto non ammettono deroghe.
«Nei nostri locali - fanno notare i ristoratori di lusso interpellati dal NYT - le persone vogliono non solo mangiare bene ma anche rilassarsi e stare in intimità grazie alle luci fioche e delicate. I lampi del flash, invece, rovinano l'atmosfera romantica». Detta così, sembra un po' un'arrampicata sugli specchi, ma effettivamente ritrovarsi come vicino di tavolo un food blogger impazzito non deve essere il massimo.
Loro, i patiti della Instagram eat, non ci stanno: «Ci trattano come ladri e limitano la nostra libertà.

Questi divieti sono illegittimi. Una volta che ordiniamo (e paghiamo) un piatto in un ristorante, quel cibo è come se diventasse nostro. E se, prima di mangiarlo, vogliamo fotografarlo, sono solo cavoletti nostri». Cavoletti di Bruxelles, ovviamente.

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