ModenaI pugni che le hanno rotto il setto nasale le hanno fatto forse meno male dell'umiliazione delle botte del padre in pubblico. È l'ennesima storia di violenza familiare e di islam intollerante quella che arriva da Modena. Una giovane marocchina è stata picchiata selvaggiamente dal padre perché non portava il velo e si rifiutava di sposare l'uomo che lui aveva imposto.
Succede nel cuore dell'Emilia che si vanta di essere esempio di integrazione. In una Modena dove questo è soltanto l'ultimo episodio di una scia inquietante e un campanello d'allarme per chi pensa che l'integrazione si faccia con le feste multiculturali e le chiacchiere del politicamente corretto.
La giovane da poco maggiorenne finalmente poteva sentirsi libera. Libera dalla comunità nella quale i servizi sociali del suo comune, Brescello, l'avevano portata dopo che il padre, nel 2005 e nel 2008, le aveva usato violenza perché si era rifiutata di portare il velo a scuola e si era preso due denunce per abuso di metodi di correzione e maltrattamenti. Ma soprattutto libera da quel genitore così ciecamente attaccato alle prescrizioni della sua fede.
Giovedì era a Modena al centro commerciale Grand'Emilia. Cercava una boutique, come fanno le ragazze, come fanno le sue amiche: felice di comprarsi un vestito che le piacesse, un pezzo di libertà, sognando un amore scelto da lei. Ma il papà era in agguato. L'operaio 54enne le sferra calci e pugni, poi una ginocchiata arriva al volto e le rompe il setto nasale. Qualcuno cerca di fermare la furia, qualcun altro chiama la polizia mentre l'arrivo dei vigilantes lo fa scappare. All'ospedale la giovane racconta la terribile verità. «Quell'uomo è mio padre», singhiozza con vergogna e paura. Scatta una denuncia per lesioni aggravate.
Il ministro dell'Integrazione Andrea Riccardi ha espresso solidarietà alla ragazza ricordando che «le tradizioni sono importanti ma non possono mai essere imposte in violazione della legge e con la violenza».
Non parla di tradizioni invece, ma di «inaccettabile ideologia integralista islamica diffusa nella società» la vicepresidente dei deputati Pdl, la modenese Isabella Bertolini che ha presentato un'interrogazione auspicando che queste persone vengano «cacciate dall'Italia» e ricordato che «emerge la realtà di un radicalismo islamico che non è conseguenza, come vorrebbero i fautori del multiculturalismo, di emarginazione sociale, ma che trova terreno fertile tra persone apparentemente integrate». Quel che è certo è che la lista delle donne di fede islamica vittime dei loro familiari, padri o mariti, si sta allargando fino a diventare il catalogo di un genere letterario ormai imbarazzante, ma nel quale le tante associazioni islamiche presenti sul territorio non hanno mai voluto scrivere, senza se e senza ma, il capitolo della condanna: da Rachida Radi, uccisa nel reggiano a martellate perché si stava convertendo al cattolicesimo, a Hina Saleem a Brescia e Sanaa Dafani a Pordenone.
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