L'Italia perde l'aereo per la Cina Alitalia cancella i collegamenti

L'Italia perde l'aereo per la Cina Alitalia cancella i collegamenti

«Il turismo cinese è il nostro petrolio» dicono convinti alla Fondazione Italia - Cina, dove se ne intendono di contatti redditizi. Ma l'Alitalia va controcorrente, ha deciso di snobbare la grande potenza e di eliminare il volo che cinque giorni su sette collegava Roma a Pechino e viceversa. Preferisce puntare sul Sud Africa o su New York.
Dunque, da marzo scordatevi il link di Alitalia dove c'è l'invitante annuncio: «Raggiungi Pechino con uno dei voli Alitalia e corri ad esplorare il suo antico passato con un tocco di sviluppo moderno». La compagnia di bandiera manterrà solo la propria presenza commerciale in Cina grazie all'accordo di «codesharing» con il partner SkyTeam China Eastern, che opera cinque voli diretti alla settimana fra Roma e Shanghai. Perché questa scelta? «Tutte le compagnie europee - si legge in un comunicato Alitalia - soffrono la concorrenza delle compagnie cinesi che negli ultimi tre anni hanno realizzato investimenti in capacità (il nuovo A380) e destinazioni davvero impressionanti e dalla preferenza che i passeggeri cinesi manifestano per le loro compagnie. Unica compagnia che è riuscita a tenere il passo è Emirates».
In soldoni, i motivi sono tutti economici: «Non ci conviene, i manager italiani che vanno in Cina non sono poi tanti, i cinesi preferiscono viaggiare sui loro aerei perché non amano la nostra cucina, i prezzi delle tratte sono meno costose delle nostre…»
Via la Cina, dunque, meglio «dirottare» i boeing verso destinazioni più promettenti, tipo il Sud Africa e il Sud America, Brasile in testa.
Sarà, ma come la mettiamo con il fatto che la Cina è la superpotenza che viaggia, acquista, copia la nostra moda, compra e tanto? Che figura ci facciamo con questo paese interessato all'Italia più di ogni altro al mondo? Le cifre parlano da sole. L'anno scorso il turismo cinese è cresciuto del venti per cento e le previsioni sono ancora rosee, nonostante la crisi. Per questo motivo, dicono fonti della Fondazione cinese, «più linee aeree dirette ci sono, meglio è».
Ma non è solo il volo che conta, ovviamente. Chi voleva arrivare in Italia, almeno fino ad oggi, poteva scegliere la compagnia cinese oppure quella europea. Opzione utile per i cinesi, anche se, fino a un po' di tempo fa, i visti rilasciati dall'ambasciata italiana in Cina andavano a rilento: mancava il personale, e quello che c'era era troppo cavilloso sulla documentazione richiesta. Insomma, ottenere il visto in tempi brevi era dura. Ora la situazione sembra migliorata: chi viaggia in gruppo ottiene il visto in cinque giorni, e anche per i singoli la trafila è ugualmente snella. Merito del fatto che il personale è stato rimpolpato. Morale, basta sborsare 200 euro e in pochi giorni esci dalla Cina per sbarcare nella nostra penisola.
Ma non con Alitalia. Questa opzione non vale più, grazie alla sforbiciata aeronautica. Una mossa che non incoraggia il turismo. Dicono sempre alla Fondazione Italia-Cina: «Se noi vogliamo il turismo, dobbiamo coccolarlo da ogni punto di vista. È come un grande puzzle: ogni pezzettino che viene a mancare scompone il quadro. E ovviamente il collegamento aereo è un pezzo importante».
Non a caso all'estero lo hanno capito bene. Nonostante ci siano costi più alti rispetto alle compagnie cinesi, Air France e Klm garantiscono costanti collegamenti con la Cina.

Air Berlin, la compagnia tedesca low cost, compie voli da e verso la Cina, e già da quattro anni collega non solo Pechino ma anche Shanghai. E i prezzi sono quasi più competitivi di quelli della compagnia di bandiera cinese Air China, che fa spendere per un biglietto di andata e ritorno dalle 600 alle 700 euro.

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