Petalo dopo petalo, mentre si sfogliano le spese della Margherita, si sfalda pure il progetto dell'Api di Rutelli. I conti, però, non tornano: né quelli giudiziari né quelli politici.
Secondo i giudici in quattro anni il partito defunto avrebbe riscosso 88 milioni di euro pubblici: tolti i 23 che il tesoriere Luigi Lusi ha speso per fare la bella vita, acquistando case - lui sostiene - «per conto di», sottratti i 15 che risultano ancora in cassa, restano ben 50 i milioni di euro spariti. L'ex Capo della Margherita, Rutelli, cambia le carte in tavola, promette di dimostrare il prossimo 16 giugno come il suo partito avrebbe avuto soltanto 79 milioni di euro, e tutte spese - eccetto quelle di Lusi - legittime. Assai diverso il calcolo fatto da Lusi a inizio inchiesta: «Io ho gestito 214 milioni di euro, ne ho lasciati 20 in cassa. Facciamo finta che ne abbia presi 7 poi ho pagato 6 milioni di tasse e arriviamo a questi famosi 13 milioni. Ne rimangono altri 181. Li abbiamo usati tutti per pagare il personale e i telefonini?».
I magistrati sono così tornati a scartabellare i bilanci delle fondazioni che Rutelli e altri hanno allestito in questi anni. Dove cercare, altrimenti? Alle isole Cayman? In Lussemburgo? Lo scenario resta inquietante: il partito di Rutelli, dato per morto, era pimpantissimo nelle spese. Tranne quelle di Lusi, tutte volte a finanziare «attività politiche». O fatte passare per tali, come gli 11mila euro di multe prese da un'auto «di servizio» (Fioroni s'è giustificato: «Neppure me ne sono accorto, guidava un ausiliario di Ps dipendente del Pd»). Ancora più eclatanti le cifre pubblicate nel marzo scorso dal settimanale L'Espresso, oggetto di querela da parte di Rutelli. Secondo il settimanale, sarebbero stati versati ben 866mila euro alla Fondazione Cfs (Centro per il futuro sostenibile) di Rutelli, a partire dal 13 novembre 2009 (bonifico da un conto corrente Unicredit numero 000401107758): due giorni dopo l'annuncio ufficiale della nascita dell'Api, il nuovo partito personale di Rutelli. Varie tranche testimoniate da riscontri bancari, da 48mila fino a 145mila euro, sempre inferiori alla soglia di 150mila euro per sfuggire al controllo incrociato previsto dal comma 7 delle «Disposizioni finali» dello statuto della Margherita (norma inserita nel maggio 2007). A incassare materialmente questi bonifici per la fondazione Giovanni Castellani, tesoriere della Cfs e, contemporaneamente, revisore dei conti della Margherita. Ovvero uno di quelli che avrebbe dovuto controllare i conti. Uomo legato a Rutelli fin dai tempi trionfali della lista Beautiful. «Falsità, cazzate - reagisce sempre con violenza Rutelli -, non ho mai avuto un soldo dalla Margherita». Eppure, nel comunicato del suo ufficio stampa, i versamenti alla fondazione sono confermati, e definiti «pienamente regolari».
Conviene ora lasciare da parte la querelle giudiziaria, e le querele che si sono scambiati Lusi e Rutelli. Presto si vedrà se aveva ragione il tesoriere («questa partita fa saltare il centrosinistra») o l'ex Capo, che lo definisce «ladro» (neppure a Craxi portò bene definire Mario Chiesa un mariuolo).
A uscirne malconcia in ogni caso sarà l'etica pubblica. Anzittutto il finanziamento pubblico, le cui norme lacunose e in parte truffaldine, sarà difficile che vengano riformate dal Parlamento in modo trasparente. Ma inquietante è anche un secondo aspetto, puramente politico, che riguarda la vita interna del Pd. Prima questione: come mai Rutelli, uscito dal Pd, erede legittimo della Margherita, il 10 novembre 2009, poteva continuare a disporre dei soldi gestiti da Lusi dopo quella data? Anche se personalmente non avrebbe preso un euro, come sostiene, restava tuttavia il referente principale del tesoriere. Lo spiega la segretaria della Margherita, Francesca Fiore, nella sua deposizione in Procura. Lusi era spesso agitato, racconta la segretaria, e persino brusco con chi chiedeva danari. Con tutti, tranne che con uno. La Fiore precisa che «con Rutelli, aveva un buon rapporto. Era l'unico con il quale Lusi aveva un atteggiamento conciliante». Sintomo di legame mai reciso, e di persistente sudditanza nei confronti dell'ex Capo? E se è così, perché lo stesso Lusi non segue il mentore Rutelli al momento della fondazione dell'Api? Ex scout, francescano, magistrato, e perciò uomo in grado di riscuotere totale fiducia (così Rutelli quando si definisce «tradito»): assai singolare che non venga cooptato nell'ultima avventura politica dell'ex sindaco di Roma. Lusi preferisce restare nel Pd e, sulle prime, la segretaria resta disorientata. Poi capisce: intuito femminile o c'è chi la mette sull'avviso? Dice ai magistrati: «Quando Rutelli andò in Api, io pensai che Lusi non lo seguisse per evitare che andassero disperse le risorse. Lui diceva che aveva investito "politicamente" nel Pd». Che significato avesse quel politicamente (ironico o concreto) è una delle chiavi del rebus.
Un'altra traccia sulla quale gli inquirenti si sono soffermati riguarda l'atteggiamento di Lusi agli albori dell'inchiesta. Rivela la segretaria: «Fu Lusi a dirmi che era scoppiato un problema a seguito di "accordi saltati". Mi disse che la vicenda riguardava case (di cui fino a quel momento non sapevo nulla) che lui aveva comprato su accordi con altri che ora "si facevano indietro". Disse che sarebbe cominciata la guerra e che lui si sarebbe dimesso... Aveva sempre condotto una vita dispendiosa e diceva che gli accordi erano che lui poteva farsi rimborsare spese molto cospicue perché non era prevista retribuzione per un'attività delicata quale quella del tesoriere». Dunque, non sembrerebbe affatto che la fiducia riposta dai capi della Margherita nei confronti di Lusi sia stata «incauta», e che gli stessi siano stati «traditi». Semmai il contrario: la segretaria parla di accordi tra Lusi e i suoi ex Capi, accordi che «saltano» quando i magistrati gli puntano i riflettori addosso. Lusi sa che dovrà andare alla guerra, che di quegli accordi tra gentlemen (si fa per dire) non v'è traccia scritta. Eppure, sulle prime, il suo comportamento pare attendere una «copertura» politica. Si dice pronto a collaborare, a risolvere con una «transazione»: vuole restituire tutto, e amen. Lusi attende, sa di essere stato pagato «in natura» (con la vita dispendiosa che si consente) anche per questo. Soprattutto per questo. Ma la «copertura» politica tarda ad arrivare. Forse è troppo tardi, forse i patti sono già saltati prima. Comincia a inviare messaggi attraverso tv e giornali. Alle offese di Rutelli, Lusi risponde per lo più con le carte: goccia a goccia, anzi petalo a petalo, cerca di far entrare gli inquirenti nella giungla di spese che s'attorciglia attorno al fusto della Margherita.
Lusi cerca di far emergere che lo stesso Rutelli, pur stando nell'Api, mantiene voce in capitolo sulle spese. Come funziona lo sportello-Lusi all'interno del Pd? Non del tutto secondo il patto 60/40 per cento tra ex Ppi ed ex rutelliani. Alcuni hanno accesso al bancomat-Lusi, altri no. Beppe Fioroni, Enrico Letta, Enzo Bianco sì, per esempio. Parisi e Lusetti no. E difatti protestano, vogliano vedere le carte, contestano i bilanci. Tutti gli altri coprono le scelte di Lusi. «Perché i revisori dei conti e il comitato di tesoreria hanno sempre fatto relazioni positive sui miei bilanci? E' evidente che andavano bene altre cose, no?», s'è difeso Lusi. La solidarietà di gruppo tra alcuni ex ppi ed ex rutelliani fa preferire Lusi all'eventualità di dover spartire i fondi con gli esclusi. Dopo l'uscita di Rutelli e la nascita dell'Api, la ragione avrebbe suggerito di cambiare il tesoriere fedele a Rutelli, chiudere i rubinetti nei confronti del fuoriuscito e delle sue fondazioni, evitare che il Capo di un partito ora concorrente al Pd conosca per filo e per segno le spese degli ex amici. Più che sudditanza nei confronti dell'ex fondatore della Margherita, ora che ne ha spezzato la linea di coerenza con il Pd, l'atteggiamento di ex ppi e rutelliani sembra preludere a un ritorno di fiamma: o dentro l'Api o spostando il Pd sempre più verso il centro.
Che credito dare, allora, a esponenti di un partito che tirano la volata a un altro? La vita del Pd viene manovrata senza che Prodi, D'Alema, Veltroni e Bersani capiscano, sappiano o possano farci nulla. In questa prospettiva, andrebbe riletta l'intera (e assai deficitaria) parabola del Pd, il partito che non era padrone di se stesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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