M5S, ecco perché fà flop quando si allea con il Pd

Chiara Appendino rivendica la strategia del M5S: "Questo non è il momento per un'alleanza strutturale con il Pd". E i numeri dicono che il Movimento è più forte quando corre da solo

M5S, ecco perché fà flop quando si allea con il Pd
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"Questo non è il momento per un'alleanza strutturale con il Pd". Chiara Appendino, vicepresidente del M5S, libera il campo da ogni equivoco e, a poche settimane dalle Regionali in Umbria e in Emilia Romagna, lo dice apertamente nel corso di una lunga intervista rilasciata al Fatto Quotidiano. "Prima di ogni altra cosa, il Movimento deve ridarsi un'identità e una visione", spiega l'ex prima cittadina di Torino che spiega come i Cinquestelle abbiano la necessità di "essere più netti e radicali nelle proposte" e di darsi"nuove battaglie identitarie" per costruire una vera alternativa al centrodestra. "Noi possiamo tornare ad essere la risposta ai tanti problemi del nostro Paese - aggiunge Appendino - ma per farlo dobbiamo tornare a parlare innanzitutto ai tanti esclusi, alla cosiddetta maggioranza invisibile". Che, poi, ribadisce: "E in generale non dobbiamo apparire subalterni al Pd come a volte è sembrato".

Il rischio, secondo la deputata pentastellata, è che "il M5S diventi insignificante, e che non riesca più a incidere nel Paese". Nel corso di tutta l'intervista traspare la necessità di distinguersi nettamente dal Pd per evitare di estinguersi. Il motivo, non chiaramente espresso, è che tra la "copia" e "l'originale" gli elettori tendono sempre a votare l'originale e che, quindi, presentarsi in alleanza con il Pd non funzioni proprio dal punto di vista elettorale. E, in effetti, il Movimento Cinque Stelle, ha sempre riscosso più successo quando si è presentato come un antagonista del Pd.

Questo si è verificato soprattutto agli esordi sia nel 2013 quando il M5S ottenne il 25,5% e impedì all'allora leader della coalizione di centrosinistra Pier Luigi Bersani di diventare presidente del Consiglio sia nel 2018 quando prese il 32,5%, quasi il doppio di quanto presero all'epoca i democratici. Due anni fa, invece, i sondaggi davano il M5S in caduta libera con cifre ben al di sotto del 10%, ma poi Giuseppe Conte fece cadere il governo di Mario Draghi, ruppe l'alleanza col Pd e risalì nei consensi fino ad ottenere il 15,5%. E, se da un lato è vero che alle elezioni Europee il M5S ha avuto sempre dei risultati peggiori rispetto alle Politiche, dall'altro lato è vero anche i pentastellati hanno fatto malissimo alle elezioni locali in alleanza col Pd.

La corsa solitaria permise, infatti, ai Cinquestelle di espugnare tre roccaforti storiche della sinistra: Torino con Chiara Appendino, Roma con Virginia Raggi e prima ancora la rossa Livorno con Filippo Nogarin. Per quanto riguarda, invece, le elezioni Regionali il bilancio è ancora più magro con la Sardegna come unica Regione conquistata proprio grazie alla grillina Alessandra Todde. Quest'unica eccezione ha dato adito alle voci degli alleati indespettiti per il fatto che il M5S riesca a mobilitare il suo elettorato solo quando un suo esponente è candidato per la carica più alta. Che questo corrisponda a realtà oppure sia solo un'illazione è difficile da appurare.

Quel che è certo è che in Liguria, per esempio, il M5S stavolta ha preso un misero 4,7% a fronte del 7,8% preso cinque anni fa quando il candidato era il giornalista del Fatto Ferruccio Sansa, sostenuto da tutto il centrosinistra ad esclusione dei renziani. Nel 2015, invece, la candidata M5S Alice Salvatore, conducendo una corsa in solitaria, sfiorò il 28%. Numeri a due cifre si riscontrano anche in altre elezioni Regionali ma mai in alleanza con il Pd.

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