Mangiare per strada adesso è chic

Una guida, due programmi tv e un festival per celebrare un'abitudine antica. Tornata di moda

Mangiare per strada adesso è chic

Sono solo battute. Più o meno. Tipo: il panino con le panelle è buono solo se sono fritte con l'olio tramandato di padre in figlio dai «panellari» di strada. I bolliti di Pepi «S'ciavo» (un'istituzione a Trieste) si gustano davvero solo in piedi davanti al bancone. E la piada romagnola, guai a chiamarla piadina, si fa con lo strutto: con l'olio è sacrilegio. E naturalmente bisogna schierarsi: o la versione Rimini o Cesena.

Ora lo chiamano street food, ma è davvero quanto di più italiano, solo che ce lo eravamo dimenticati. Prima drogati dalle endorfine del cheddar cheese erogato a pioggia dai fast food, poi ipnotizzati dalle lusinghe radical chic dello slow food. Tra una moda gastronomica e l'altra, ci siamo dimenticati la cucina vagabonda dei nostri paesi, che ci ha allevato, nutrito durante la ricreazione a scuola, ci risolve le migliori pause pranzo. Il fast food in Italia c'era già, e noi tutti a correre appresso all'hamburger sbarcato dall'America. Cosa c'è di più «fast» che prendere un pezzo di pizza «al taglio» per le strade di Roma, un'arancina (sostantivo femminile) a Palermo o un tramezzino a Venezia? E c'era nella nostra cucina di strada, e c'è tuttora, pure lo slow food: altro che zucchine a chilometro zero, queste specialità hanno carte d'identità chiare, pure se molte, seguendo la strada dell'emigrazione e degli affari, si sono sdoganate su piazze diverse da quelle originarie. La famosa focacceria di Palermo ha esportato fritti e pane con la milza («schitto» o «maritato», con o senza ricotta) pure a Roma e Milano. E le brioche col gelato mica si mangiano solo a Trapani o Catania. La pizza poi, non ne parliamo, si trova ovunque nel mondo. Ma mangiare questi piatti nelle terre natìe è un'altra storia. Soprattutto se si sta a sentire gli emigranti, soddisfatti di poter trovare le leccornie tipiche di casa propria, ma pur sempre nostalgici della qualità «di casa». Che poi è la vera sfida: a Roma le pizzerie al taglio si sono moltiplicate e molto spesso ibridate con i kebab, ma gli indirizzi davvero buoni non sono poi così tanti. E non è solo una questione di gusto: meglio tenerceli stretti questi posti, che molti turisti vengono in Italia più per il cappuccino e la focaccia che per i grandi cuochi.

Ora che abbiamo preso coscienza dello street food, anzi il «cibo di strada», ora che gli abbiamo dato un nome, è diventato anche una moda. Il «Gambero rosso» ci ha costruito una guida e premiato i migliori indirizzi di ogni regione (vedi grafico). Lonely Planet una rassegna internazionale e un festival in Inghilterra. E, forse prendendo atto che potremmo stufarci dei troppi chef stellati che ci danno lezioni dal piccolo schermo, anche le tv hanno scoperto il fascino del cibo ramingo. Italia 1, dopo il successo di Street Food Heroes su Mediaset Italia 2, lancia lo show alla domenica in seconda serata e DMax ci prova un programma itinerante, a caccia dei migliori indirizzi con un titolo azzeccato: Unti e bisunti. Perché la cucina di strada è fatta così: senza compromessi. Non è un Paese per vecchi (salutisti), dall'Alpi alle piramidi, dai folpeti veneti alla 'nduja calabrese, il filo conduttore è l'abiura di ogni remora dietetica.

Qui si frigge, si imburra, si olia, signori miei: se non vi aggrada potete sempre apparecchiarvi uno spaghetto al kamut o un'insalata di farro biologico. Tenendo sempre a mente l'immortale frase di Henri Chenot: «Il chilometro zero è una stronzata pazzesca». Ma il «cicciofritto» sotto casa è una delizia.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica