
«Dalla magistratura arriva un’erosione della volontà popolare». È un durissimo attacco alle toghe quello sferrato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, che riguarda la «giurisprudenza creativa» in materia di lotta all’immigrazione clandestina, ma non solo. «C’è un territorio sempre più attraversato da tensioni tra poteri dello Stato, equilibrio sempre più precario nonostante sia delineato in modo chiaro». Queste tensioni che arrivano dalla magistratura «si apprestano a incidere sulle fondamenta stesse degli stati democratici di diritto che si poggiano sul principio della sovranità popolare».
Secondo l’ex magistrato sono tre «le tipologie di aggiramento della sovranità popolare tramite la strada giudiziaria: la creazione delle norme per via giurisprudenziale, la sostituzione delle scelte del giudice a quelle del governo, la selezione per sentenza di chi deve governare». Il primo tema, quello della giurisprudenza creativa, «non è nuovo - sottolinea il sottosegretario - la novità è il suo carattere non più eccezionale, con riferimenti alle fonti internazionali ed europee dando una lettura assai “estensiva”, per non dire arbitraria, delle norme costituzionali. Il tutto per costruire discipline che il Parlamento non ha mai approvato». Il riferimento è ad alcune sentenze in materia di fine vita o su questioni etiche (dal diritto di famiglia alle adozioni).
Poi c’è un secondo filone «parallelo», secondo Mantovano, cioè «la tendenza delle Corti a negare spazi regolativi al legislatore, parallela ma non contrapposta perché esprime il medesimo percorso di erosione degli spazi di sovranità popolare. Pensiamo, per riportare un esempio di leggi sistematicamente disapplicate, a quelle in materia di immigrazione. Disattese magari dopo averne annunciato la disapplicazione in convegni e scritti». Il cuore di questo «filone» ruota intorno all’interpretazione più genuina della sentenza della Corte di giustizia europea sui «Paesi sicuri» che ha di fatto ostacolato la piena applicazione del Protocollo sull’Albania in merito alla procedura di rimpatrio accelerato prevista dal governo e vanificata dai distinguo delle Corti d’Appello e delle sezioni Immigrazione, che hanno fatto appello ai giudici del Lussemburgo (il pronunciamento è atteso tra qualche settimana, non è detto che non dia ragione al governo in materia di rimpatri) mentre la legislazione europea sta andando in direzione contraria rispetto all’orientamento della magistratura. «Ciò è ancora più singolare nell’ordinamento di uno Stato che fa parte dell’Ue, e che - proprio in ragione di tale appartenenza - è teatro della progressiva erosione degli spazi regolativi del legislatore nazionale, in favore della estensione della operatività del diritto europeo, visto che la gran parte della regolazione nazionale è ormai recepimento di norme europee», è il ragionamento del sottosegretario.
Sulla supremazia del diritto Ue rispetto a quello nazionale non c’è molto da discutere, se non in linea di principio: «Non è questione di forma, ma di sostanza. Lungi da me rilanciare ulteriori polemiche: quello che noi desideriamo è non già delegittimare l’Unione europea, bensì che la nostra Repubblica continui a preservare il suo fondamento, sancito dall’articolo 1 Costituzione - conclude Mantovano - Per noi sovranità popolare non è un concetto superato dalla storia: è la base del rispetto che il potere pubblico deve ai cittadini; ed è al tempo stesso la base della vincolatività delle regole che ai cittadini viene chiesto di rispettare».
Quanto alla «selezione per sentenza di chi deve governare» abbiamo visto cosa è successo con il caso del governatore della Liguria Giovanni Toti. Che la volontà di una parte della magistratura sia quella di condizionare le scelte politiche si vede anche dalla scelta di ricorrere alla Corte costituzionale da parte di alcune Procure (ma anche da parte della Cassazione) di fronte all’abolizione dell’abuso d’ufficio, reato «spia» di dubbia interpretazione per la sua inconsistenza, che in questi anni ha prodotto solo una percentuale minima di condanne ma che spesso viene usato come una clava per fare e disfare maggioranze, alleanze e giunte per via giudiziaria.
«Non riduciamo questo scenario ad un racconto di “toghe rosse” in azione, che forse aveva senso 30 anni fa ma ora appare macchiettistico. È qualcosa di più complesso e di più grave.
È un ormai cronico sviamento della funzione giudiziaria, perché - è la sintesi di Mantovano - quest’ultima deraglia dai propri confini e decide, insieme alle norme, le politiche sui temi più sensibili, e chi quelle politiche deve applicare. Ed è uno sviluppo che attraversa tutte le giurisdizioni, a prescindere da appartenenze e collocazioni. Ritrovare l’equilibrio è indispensabile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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