La massoneria italiana non sarà commissariata. E a Palazzo Giustiniani non si insedierà un amministratore giudiziario, come se lo storico edificio, crocevia di potenti e misteri, fosse solo la sede di una malandata società. Il tribunale civile di Roma ha detto no alla richiesta della parte che contesta la gestione del Grande Oriente d’Italia e ha messo in discussione anche i risultati elettorali e l’affermazione, per un pugno di voti, del Gran Maestro Mario Seminario. Il giudice ha stabilito che il ricorso è tecnicamente inammissibile. E la situazione resta congelata: l’ala che fa capo a Leo Taroni di fatto parla di brogli. E prepara le prossime mosse, in una guerra interminabile. Seminario, che si muove in continuità con il suo precedessore, Stefano Bisi (nella foto), replica con parole gelide alla fronda: «L’incontinente clamore di pochi non rappresenta la volontà e il contegno di molti. L’elevazione etica alla quale si dedicano i fratelli del Grande Oriente d’Italia resta lontana dalle beghe conflittuali tipiche di chi ha ambizioni inappagate».
In realtà divisioni e scontri vanno avanti da molto tempo. E sul piatto pesano le accuse di permeabilità al mondo mafioso. «Non può esistere -risponde Seminario conversando conil Giornaleche aveva dato conto del fascicolo aperto al tribunale della capitale -una fazione antimafia che si contrappone ad una non antimafia. Perché tutti i fratelli del Grande Oriente d’Italia rifiutano in egual modo la mafia e la mentalità mafiosa». E ancora: «È gravemente irresponsabile alludere ad infiltrazioni mafiose nel Grande Oriente d’Italia per soddisfare strategie elettorali».
Difficile raccapezzarsi nel groviglio di procedimenti aperti negli ultimi mesi, ma il punto infiammato resta l’elezione del Gran Maestro e della Giunta a marzo scorso. Ai seggi si impone Leo Taroni che ottiene 6482 voti contro i 6467 di Seminario, sconfitto al fotofinish. Ma la Commissione elettorale nazionale decide di non conteggiare le schede cui non sia stato tolto il tagliando «antifrode». Pochi voti ma pesantissimi. Seminario scavalca Taroni, inchiodato a quota 6.343, e vince con 6.369 preferenze. Un risultato che la Lista di Taroni contesta apertamente, innescando un nugolo di procedimenti. Viene chiesto il sequestro dei verbali che però il giudice nega.
Quel filone viene abbandonato, ma va avanti l’altro in cui in via cautelare si propone, nientemeno, la nomina di un amministratore giudiziario, un po’una bestemmia per chi conosce la proverbiale riservatezza dell’ambiente massonico. L’istanza viene respinta ma il match potrebbe continuare con un possibile controricorso. Le crepe non si sono certo chiuse, Seminario va avanti per la sua strada. Il Gran Maestro, che resta in carica per un quinquennio, ha un appannaggio annuo di 130 mila euro e gestisce, attraverso la società Urbs, un patrimonio del valore di oltre duecento milioni di euro. Insomma, non è un momento facile per la massoneria tricolore che ha alle spalle una lunga storia ed ha avuto un ruolo importante in diversi snodi storici, cominciando dal Risorgimento. «Le iniziative giudiziarie ad oggi inutilmente proposte contro la giunta del Grande Oriente conclude Seminario -non scalfiscono la compattezza e la compostezza dei Fratelli».
Ma la querelle non è finita e la partita si gioca anche davanti alla giustizia interna: dopo il controverso verdetto della Commissione elettorale nazionale, favorevole a Seminario, si attende ora la decisione della Corte centrale.
I “ribelli” puntano il dito contro i dieci anni dell’epoca Bisi e ora contro Seminario che ne ha raccolto l’eredità e parlano di metodi dittatoriali e di espulsioni non motivate. Un fratellanza spaccata, dunque, in un andirivieni vorticoso di carte bollate.
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