Un tempo fare un ricorso contro l'esito di un concorso era qualcosa di abbastanza raro e sostenuto da motivazioni solide, in particolare da vizi formali, irregolarità e inadempienze regolamentari su cui la magistratura aveva titolo a intervenire. A fare un ricorso di merito - mettendo in discussione la sostanza del giudizio - non ci si provava perché quasi certamente il magistrato avrebbe risposto di non avere i titoli per decidere se tizio poteva essere un buon professore di matematica o di latino e, in assenza di vizi di forma, avrebbe respinto il ricorso. Oggi tutto è cambiato e le commissioni composte da competenti in materia sono inutili: le decisioni si prendono in sede di magistratura amministrativa.
La recente sentenza del Tar del Lazio che accoglie il ricorso contro la soglia di 35/50 stabilita come necessaria per superare le preselezioni ed essere ammessi alle prove scritte del concorso per docenti, e che stabilisce tale soglia in 30, esprime in modo emblematico tale situazione. Ci si è richiamati all'art. 400 comma 11 del Dlsg 297/94 secondo cui «un punteggio che, riportato a decimi, sia inferiore a sei preclude la valutazione della prova successiva». Ma è un elementare esercizio di logica notare che il fatto che con meno di 6 non si possa andar oltre non implica affatto che 6 sia sufficiente, ovvero che chi valuta nel merito non possa ritenere che, per tale o tal altra professione, sia necessario un livello più alto, anche di eccellenza. Decidere che «basti» il 6 è una considerazione di merito con la quale il Tar ha deciso che è sufficiente avere un 6 nelle prove preliminari per avere la possibilità di diventare insegnante. Invece, chi ha pensato il decreto concorsuale ha ritenuto che un prerequisito fosse superare quelle prove con un punteggio abbastanza alto. Avrebbe potuto legittimamente indicare come soglia 40/50 o anche di più, ma tale facoltà è stata sottratta ed è stato sentenziato che in Italia basta avere la sufficienza per avere l'opportunità di insegnare.
È bene cogliere le implicazioni dell'accaduto, in un periodo in cui si straparla di «meritocrazia». Una sentenza amministrativa ha sottratto ai giudici naturali (le commissioni di concorso composte da docenti) la valutazione e ha indicato per via giudiziaria una soglia minimalista che non solo non è affatto necessaria ma è molto discutibile. Vi fareste curare da un medico che ha superato le valutazioni per il rotto della cuffia? Forse il mestiere dell'insegnante è meno cruciale dal punto di vista sociale?
Detto questo, sarebbe un errore additare come principale responsabile di questo deplorevole andazzo la magistratura, che si trova investita di un ruolo che non è il suo da una politica dell'istruzione impazzita. È comprensibile che sia difficile affrontare concorsi con grandi numeri con strumenti tradizionali, ma dal concorso dei presidi a quello dei Tfa al concorsone è un dilagare di prove a test insensate, talvolta demenziali e strapiene di errori. Di che stupirsi se l'impazzimento provoca il caos? Parliamo di politica dell'istruzione in generale, perché le scelte fatte circa l'abilitazione universitaria nazionale rispondono alla stessa logica basata sul feticismo dei numeri e dei test automatici. Era stato detto da più parti che il concorsone somigliava troppo a un esame per la patente di guida, in cui è comprensibile che si faccia un quiz sul codice della strada per poi passare a una prova in auto, ma qui siamo di fronte a una valutazione che dovrebbe evitare gli automatismi.
Come ha scritto Sabino Cassese relativamente all'università, la burocratizzazione e l'automatizzazione delle procedure uccide la sostanza stessa della valutazione consegnando l'ultima parola ai giudici amministrativi.
Questo si applica a tutti i recenti concorsi per la scuola che, non a caso, stanno producendo una valanga di ricorsi che, oltre a inceppare la macchina, avranno un risultato devastante di cui il ministero dovrebbe rallegrarsi, visto che è proprio quello che persegue: eliminare la funzione degli insegnanti, riducendoli a compilatori di verbali nelle commissioni e a badanti degli studenti in scuole ridotte a «centri civici».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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