Mentre in Liguria i democrat oscurano i bilanci dei rimborsi alla Regioneil caso

Genova È «sproporzionato» che un cittadino sappia quanto guadagna un politico. Lo dice il garante della privacy che controlla il decreto legislativo del governo che dovrebbe dare attuazione alla legge anticorruzione. È un sì con riserva quello del garante, che non è d'accordo a pubblicare su internet le dichiarazioni dei redditi degli amministratori pubblici e dei loro familiari. Sindaci, assessori, consiglieri, presidenti, parlamentari e ministri non devono rendere conto al popolo di quello che entra nelle loro tasche. Tanta manna per chi in questi giorni cerca ogni appiglio per non dire agli elettori cosa metteva nella nota spese da presentare alla regione per il rimborso.
Se lo Stato si arroga il diritto di curiosare liberamente nei conti correnti dei cittadini, guai a pensare che la legge sia uguale per tutti e che quindi valga anche il contrario. Tanto che tra le obiezioni mosse da Antonello Soro, il garante targato Pd, ce n'è una che riguarda persino i dipendenti pubblici. I loro datori di lavoro (siano essi Comuni, Regioni, Province o altri enti), possono al massimo pubblicare il curriculum e lo stipendio base di dirigenti e funzionari. Guai però a rendere noto se oltre a questo percepiscono anche straordinari, consulenze, indennità e arrotondamenti vari. Il rischio è che, con la scusa della privacy, si nasconda dove vanno a finire i soldi pubblici.
E proprio qualcosa del genere sta avvenendo in questi giorni nelle Regioni in cui la magistratura scava tra i rimborsi chiesti dai vari consiglieri. In Liguria, ad esempio, si sono già dimessi due vicepresidenti indagati della giunta di Claudio Burlando (entrambi ex Idv), prima Marylin Fusco, poi il suo successore Nicolò Scialfa. Quando le indagini riguardavano altre parti d'Italia, all'ombra della Lanterna facevano i superiori, autoproclamandosi «virtuosi». Qualche mese dopo le prime denunce di un'inchiesta del Giornale, i giudici hanno messo il naso nelle loro carte, scoprendo che i consiglieri mettevano in conto di tutto, persino mutandine, pareo, soggiorni alle terme, messe in piega, farmaci, felpe, cibo per gatti, cosmetici. Dai primi riscontri sembra che quasi tutti i gruppi politici abbiano infilato qualcosa di incredibile nei loro bilanci. Ma tutti aspettano i pm e sperano. Solo Raffaella Della Bianca, ex Pdl ora nel gruppo dei Riformisti, ha reso pubblici uno per uno i propri scontrini di rimborso. Gli altri, a cominciare dal Pd, fanno finta di essere trasparenti mostrando gli estratti dei bilanci, gli specchietti con la somma dei costi. E la voce «rappresentanza» copre qualsiasi cosa.

Gli scontrini? Le ricevute che i cittadini hanno pagato con le loro tasse? «No, quelli no, c'è la privacy - spiega il capogruppo Pd, Nino Miceli -. Altrimenti vengono strumentalizzati». Oltre agli stipendi è vietato far sapere anche che mutandine portano i politici.

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