Monti in confusione: da candidato scopre che le tasse sono troppe

SuperMario in campagna elettorale sconfessa il proprio operato: vuole abbassare l'Irpef, modificare l'Imu e la riforma Fornero

Il presidente del consiglio dimissionario Mario Monti
Il presidente del consiglio dimissionario Mario Monti

Modificare l'Imu, cambiare la riforma del lavoro concedendo più flessibilità alle aziende. E poi tagli alla spesa veri. In chiusura ci starebbe anche un «Monti dimettiti!», se non fosse che queste affermazioni portano proprio la firma del presidente del Consiglio uscente. Un classico italiano delle campagne elettorali, l'opposizione dei politici a se stessi. E Mario Monti, che dalla politica tradizionale dice di volersi distinguere, non ha fatto eccezione. Durante un'intervista a SkyTg24 è tornato sulla idea di ridurre di un punto l'Irpef e ha aggiunto la sterilizzazione dell'aumento dell'Iva, deciso dalla sua prima manovra e confermato dall'ultima, limitatamente alla aliquota ordinaria. «È possibile», ha assicurato. «Ci sono tutte queste possibilità. Queste e anche di più. Qual è la via maestra? Ridurre la spesa pubblica». La colpa del fallimento dei tagli alle spese la scarica interamente sulla maggioranza. «Noi - aggiunge - ci siamo messi all'opera ma sulla spending review abbiamo trovato in Parlamento molte difficoltà. Ad esempio, il provvedimento sulla Province non corrisponde» a quanto aveva previsto il governo.
Non poteva mancare la domanda sull'Imu, la tassa più odiata dagli italiani. Anche in questo caso il candidato premier del centro sostiene che «va modificata» e «il gettito va dato maggiormente ai Comuni». Monti prova anche a negare la paternità dell'imposta. «Io non ho la patente per distribuire moralità o immoralità - ha spiegato riferendosi alle parole di Giulio Tremonti - è un frutto che il precedente governo ha deciso con l'entrata in vigore successiva» senza specificare se fosse sulla prima casa. In realtà, dell'Imu prevista dal federalismo fiscale del governo Berlusconi, l'imposta di Monti ha solo il nome. Cambiano i termini e, soprattutto, il regime della prima casa. Nella prima versione era esclusa, con l'eccezione di ville e palazzi.
In perfetto Monti style, il premier ha poi fatto dell'ironia puntando su un mood familiare. Alla domanda su quanto avesse pagato di Imu, ha risposto: «Parecchio ma non ho qui la cifra. Si occupa mia moglie di queste cose». Battuta da archiviare tra quelle che segnano la distanza tra il mondo del professore e quelle dei contribuenti.
Cambio di tono e di sostanza anche sulla riforma del lavoro di Elsa Fornero, che fino a pochi giorni fa, lodava come la migliore possibile. Ieri ha sostenuto che ne vorrebbe una «più vicina agli imprenditori, ma anche ai veri interessi dei lavoratori». Il faro è la posizione di Pietro Ichino, quindi il contratto unico. Lui «avrebbe voluto andare oltre la riforma Fornero dal punto di vista di rendere il mercato più flessibile e di dare altre forme di protezione, che è una grande semplificazione del mercato del lavoro».
Monti candidato, parla anche di politica estera. E dice di sentire l'appoggio del presidente Usa Barack Obama: «Sì, molto», ha risposto al giornalista che gli chiedeva se sentisse l'endorsement della Casa Bianca. «Soprattutto questa grande facilità di rapporto sulla comprensione delle cose e delle persone. Con altri colleghi, Merkel e Hollande, ma anche lui e io da soli, abbiamo avuto scambi sui problemi dell'Europa e dell'Eurozona dove c'è stato una grandissima intesa». Il premier cerca invece di prendere le distanze dal cancelliere tedesco: «Con la Merkel abbiamo avuto un contrasto alle 5 del mattino del 29 giugno 2012», a proposito dello scudo anti spread.
Tiepido persino con gli alleati centristi Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini: «Non li valuto per la loro storia, ma prima di altri hanno capito che i problemi non si risolvevano senza la grande coalizione».

Unico rammarico avere perso per strada Corrado Passera, che non partecipa al suo progetto perché avrebbe voluto una lista unica anche alla Camera: «Spero che con lui non sia scritta la parole fine».


di Antonio Signorini

Roma

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