"Non lo so ancora. Ma dentro di me qualcosa mi dice di no". Il presidente del Consiglio Mario Monti affida a una chiacchierata con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari i dubbi che non gli hanno ancora permesso di sciogliere la riserva sul suo futuro impegno in politica. Mentre i centristi lo tirano per la giacchetta nella speranza che sia disposto a candidarsi premier in vista delle prossime elezioni, alla vigilia della conferenza stampa di fine anno il Professore non nasconde le incertezze che in queste ore lo stanno assalendo.
Terrà tutti col fiato sospeso. Fino all'ultimo momento, non dirà se scenderà o meno in campo come portabandiera e leader del Centro. Anzi, peggio. I ministri, che hanno parlato con lui dopo lo scioglimento delle Camere, assicurano che nel discorso di oggi il premier dimissionario si limiterà a fare il bilancio dei suoi 401 giorni di governo e a presentare un "manifesto" per l'Italia con gli interventi da svolgere nei primi cento giorni del nuovo governo: una legge aggiuntiva contro la corruzione, le liberalizzazioni, la legge elettorale e avanti con la riforma fiscale. Dopo aver esposto "gli impegni che ci hanno ridato credibilità e che non possono essere smantellati senza ripiombare nel precipizio che abbiamo evitato", Monti si rivolgerà direttamente "al Paese, alla pubblica opinione e alle forze sociali e politiche" per leggere una sorta di memorandum che individuerà una serie di punti chiave fondamentali per il rilancio dell'Italia. In primis, appunto, una legge aggiuntiva contro la corruzione, dal momento che quella varata poche settimane fa, in accordo con la cosiddetta "strana maggioranza", è "consapevolmente manchevole di alcuni punti importanti". "Bisogna completarla", ha avvertito il Professore nel colloquio con Scalfari. Altrettanto bisogna fare con le liberalizzazioni. E ancora: "Bisogna rendere più penetrante l’azione antitrust in favore della libera concorrenza. Portare a termine l’impegno di abolizione delle Province. Cambiare la legge elettorale basandola sui collegi. Dimezzare il numero dei parlamentari. Portare avanti la riforma fiscale. Difendere fino in fondo la riforma delle pensioni. Cambiare il welfare e creare un sistema generale di ammortizzatori sociali. E soprattutto investire nelle scuole superiori, nell’università e nella ricerca".
Un lungo elenco piuttosto lungo, dunque. Ma Monti ancora non ha ancora deciso se sarà in prima persona leader del Centro che, a detta sua, deve essere rafforzato per "fare muro e limitare il riafflusso alla destra populista". "So che Napolitano preferirebbe che io, pur incoraggiando la parte politica a me più congeniale, restassi in panchina - ha detto - la notte porta consiglio". Senza Monti, però, il centro attuale - con Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Luca Cordero di Montezemolo e il ministro Andrea Riccardi - è stimato dai sondaggi tra il 9 e il 12%. Con lui condidato c'è chi dice che potrebbe arrivare addirittura al 40%. "Se Casini oscilla tra il 6 e il 7% e Fini è al 2% - ha chiarito il Professore - è perché sono politici fin da ragazzi e la gente non sopporta più i politici professionali. Si parla ormai di esperti e di società civile. È questo che non fa decollare il Centro".
Eppure sebbene dica di non voler ridar vita alla Dc, Monti - e i centristi con lui - sperano in un grande centro che strizzi un occhio ai democratici e che vada avanti a fare quello che il Professore ha fatto per 401 giorni di governo: tassare e spremere gli italiani senza che cambi qualcosa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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