Dopo l'infarto che ha stroncato la vita di Loris D’Ambrosio, 65 anni, magistrato e consulente giuridico del presidente della Repubblica, chiamato in causa nel caso delle intercettazioni con Mancino sulla presunta trattativa Stato-mafia, Napolitano aveva subito sottolineato il suo "rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità di magistrato intemerato, che ha fatto onore all’amministrazione della giustizia del nostro Paese".
Il riferimento indiretto andava diviso tra magistrati, politici (tra cui Antonio Di Pietro) e quotidiani (Il Fatto in primis, dal momento che è stato il primo quotidiano a focalizzarsi sull'argomento iniziando una campagna che dura da più di un mese). Dopo la morte di D'Ambrosio, restano sono le polemiche. Travaglio, che praticamente un giorno sì e l'altro pure dedicava il suo editoriale quotidiano all'attacco nei confronti ora di Napolitano, ora del suo staff, oggi non se l'è sentita di replicare alle dichiarazioni del Colle. Insomma, il quotidiano di Padellaro ha scelto la tecnica del silenzio.
Diverso invece l'atteggiamento della procura di Palermo. Messino e Ingroia infatti, secondo quanto riportato da La Stampa, si sono affrettati a precisare che "le dichiarazioni del presidente della Repubblica sulla scomparsa del suo consigliere giuridico non riguardano noi. Riguardano chi ha fatto campagne di stampa sulle intercettazioni. E la Procura di Palermo notoriamente non fa campagne". Fuoco amico d Ingroia nei confronti del Fatto? Chi lo sa.
Anche Ilda Boccassini, che ha definito D'Ambrosio "un uomo che ha sempre salvaguardato l’autonomia e l’indipendenza della magistratura", ha lamentato il fatto che il consigliere giuridico del Colle fosse "stato oggetto nelle ultime settimane di attacchi ingiusti e violenti".
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