No, se mio figlio è un asino ditemelo in faccia

di Apprendere via mail che nostro figlio è stato bocciato, è un po' come scoprire via sms che nostra moglie ci ha mollato. Si resta male. E si pensa: ma quelle «carogne» dei professori potevano dirmelo a voce che mio figlio era un «ciuccio» (in caso di figlia sarebbe preferibile il termine «capra»); e quella «maledetta» di mia moglie? Neanche il coraggio di confessarmi in faccia che voleva abbandonarmi. Ma - si sa - in un mondo di ipocriti, nulla di meglio che sostituire i rapporti vis à vis con quelli mouse to mouse.
Anche il mondo della scuola ha (avrebbe) deciso di adeguarsi alla modernità, varando il «registro elettronico» o «registro on line». Questa, almeno, la sua traduzione semplificata. In burocratese, invece, ci troviamo dinanzi a un preoccupante «Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie». La parola «dematerializzazione» è inquietante: non tanto perché di cognome faccio Materi, ma soprattutto perché dietro un simile termine è difficile possa nascondersi qualcosa di buono.
Scendiamo sul concreto con un esempio: i fatidici colloqui docenti-genitori. Trattasi di quei periodici incontri che - alla vigilia degli scrutini - obbliga padri e madri a sentirsi dire dal prof di matematica che il figlio «è intelligente, ma non si applica...» oppure dal prof di latino che la figlia «potrebbe fare di più, ma è distratta da ben altre cose...».
A proposito: quali sono queste «ben altre cose»? (alcol, sigarette, sesso, droga, rock and roll?). Io, come padre, lo voglio sapere. E tu, come prof, me lo devi dire a voce. Mica scrivermelo virtualmente sul «registro on line». Dove, tra l'altro, rischio di non leggerlo mai, considerato che - già solo a parlarne - presidi e professori di mezz'Italia si sono subito persi nella web-giungla scolastica di nuova generazione. Presidi e professori dell'altra mezz'Italia, al contrario, non avranno neppure la possibilità di smarrirsi nella tecno-foresta digitalizzata di voti, pagelle, note disciplinari, assenze e ritardi per il semplice fatto che non avranno mai a disposizione le risorse per dotare le proprie scuole neppure di uno straccio di notebook. È previsto infatti che il «Piano per la dematerializzazione delle procedure e bla bla bla...» avvenga «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Come dire: lo Stato non ci metterà un euro, arrangiatevi! Veramente un bel modo di riformare la scuola, da sempre l'istituzione più irriformabile del nostro Paese.
Per un attimo ammettiamo pure che, grazie a un colpo di bacchetta magica, tutti i prof e tutti i genitori italiani vengano dotati di smartphone dove controllare in tempo reale se il figlio ha «bigiato», preso una nota, beccato un'insufficienza o quant'altro. Ma ecco farsi avanti, su La Repubblica, la cogitabonda riflessione della scrittrice Mariapia Veladiano: «Questa iperconnessione sembra ratificare che quel che resta sono i rapporti immateriali. Una spiritualizzazione tecnologica. Fede in una tecnologia che sostituisce la relazione con la connessione. Sicuri che questo sia bene?». Gentile signora Veladiano, no, non è un bene. Anzi, è un male.

Eccetto, forse, per quello studente hackerinformatico che è riuscito a falsificare i voti sul «registro on line» della sua classe. È stato sospeso dalla scuola. Ma subito assunto da un'azienda specializzata in computer.
Che la disoccupazione si combatta così?

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