"Non privatizzeremo mai la sanità. Con noi 11 miliardi di fondi in più". Intervista al ministro della Salute, Orazio Schillaci

Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, a pochi giorni dal via libera al testo che punta a snellire le liste d’attesa: "In alcune regioni già si vedono gli effetti"

"Non privatizzeremo mai la sanità. Con noi 11 miliardi di fondi in più". Intervista al ministro della Salute, Orazio Schillaci

Orazio Schillaci, classe 1966, medico, professore, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata. Ora è ministro della Salute ed è stato al centro di tante battaglie di questa campagna elettorale e dell’attività del governo per porre rimedio alla crisi della sanità.

Ministro, l’intervento del governo con l’approvazione del nuovo decreto ridurrà drasticamente le liste d’attesa negli ospedali?
«Ci sono regioni che già applicano quanto abbiamo stabilito per legge e i risultati si vedono.
Se tutti faranno la propria parte, i risultati di questa riforma saranno incisivi. Abbiamo approvato due provvedimenti che per la prima volta definiscono per legge regole e misure che garantiscono al cittadino di avere le prestazioni nei tempi giusti attraverso l’ampliamento dell’offerta sanitaria che includerà anche l’attività in intramoenia e il privato accreditato».

La sinistra l’attacca e dice che è un decreto vuoto, senza finanziamenti, cosa risponde?
«È propaganda spicciola. Il nostro decreto ha le coperture finanziarie bollinate dal Mef.
La proposta di legge Schlein invece le coperture non le ha previste. Facciamo partire le misure più urgenti con i fondi che sono oggi disponibili e che diverse regioni non stanno spendendo dal 2022».

La detassazione degli straordinari può portare a un sensibile aumento del personaOrazio Schillaci, 58 anni, già rettore dell’Università di Roma Tor Vergata le in servizio?
«È un incentivo importante che si unisce all’aumento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive che abbiamo già approvato con la legge di bilancio.
Sono convinto che queste misure dedicate allo smaltimento delle liste d’attesa incentiveranno i medici a dedicare più ore per il bene dei pazienti».

Esiste o no il rischio che la sanità pubblica sia sopraffatta dalla sanità privata?
«Assolutamente no. È falsa propaganda. Da quando ci siamo insediati abbiamo adottato provvedimenti per rafforzare il servizio pubblico di cui il “privato accreditato” è parte integrante. Ricordo che nella proposta di legge Schlein si dice di integrare il privato accreditato nei Cup. Quindi delle due l’una: o anche il Pd favorisce il privato o è stato solo chiasso elettorale».

Da quanti anni la sanità viene definanziata? E cosa ha in mente il governo per porre riparare ai danni prodotti dai governi precedenti?
«Solo tra il 2014 e il 2019 tra minori finanziamenti e tagli, si sono persi 11 miliardi. Questo governo, con l’ultima legge di bilancio, ha aumento il Fondo sanitario di 11,2 miliardi per il triennio 2024-2026 portandolo a livelli di finanziamento mai visti prima. Stiamo procedendo passo dopo passo perché le cose da fare sono tante».

La Schlein continua a battere sul tasto della sanità, ma non è stato proprio il suo partito il primo responsabile del crollo?
«La risposta è nei fatti. Quando è iniziato il processo di erosione della sanità pubblica al governo c’era il Pd. Basta guardare i numeri e in quegli anni si è sempre definanziato, non si è mai programmato e si è favorita l’odiosa prassi dei medici “gettonisti” che ha letteralmente prosciugato le risorse verso realtà private a scapito del servizio nazionale. In quegli oltre dieci anni si potevano abolire il tetto di spesa e varare piani straordinari di assunzioni, si potevano aumentare i posti nelle facoltà di medicina per le specialità carenti e si potevano monitorare meglio le attività delle regioni così tanto inefficienti».

E cosa è stato fatto?
«Niente, a parte qualche generica proposta di aumento dei fondi. Noi in 18 mesi abbiamo iniziato a dare risposte concrete».

È vero che mancano i medici di famiglia?
«Anche questa carenza è legata essenzialmente al crescente numero di medici di medicina generale in età pensionabile non è certo nata ieri, ma è la logica conseguenza di una programmazione sciatta che non si è preoccupata di garantire il ricambio generazionale».

Prestare servizio nei pronto soccorso è diventato un mestiere rischioso. Cosa si può fare per rendere i pronto soccorso luoghi tranquilli?
«A maggio dello scorso anno abbiamo inasprito le pene per chi aggredisce un operatore sanitario. Ma le norme non sono sufficienti se non si attua un vero cambiamento culturale per diffondere il messaggio che il camice bianco è un nostro alleato, non un nemico. Detto ciò è evidente che c’è ancora un problema di sovraffollamento».

Chiedete la collaborazione dei cittadini?
«Sì. I cittadini dovrebbero andare in pronto soccorso solo per le urgenze, oggi non è così.
Quando saranno operative le case di comunità si alleggerirà la pressione sui servizi di emergenza. E non dimentichiamo che prima di andare in pronto soccorso è bene rivolgersi al proprio medico di famiglia che può intervenire su bisogni di salute non gravi».

Si parla di abolizione del tetto di spesa nel 2025. Come raggiungere l’obiettivo?
«Lo abbiamo scritto nel decreto legge approvato la scorsa settimana. Dal 2025 l’attuale vincolo sparirà e insieme alle Regioni definiremo un meccanismo che si basa sui reali fabbisogni di personale. Non più vincoli, ma uno strumento per individuare il personale che serve, dove serve».

La sanità italiana resta, nelle sue eccellenze, una delle migliori del mondo?
«Certo. Diversi indicatori Ocse dicono che su molte prestazioni abbiamo esiti di cura migliori e mortalità più bassa.

Ricordo che in Italia chiunque si presenti in ospedale riceve gratuitamente tutte le cure necessarie. Non è così in altre parti d’Europa e del mondo. Non lo diamo per scontato, dobbiamo essere orgogliosi del nostro servizio sanitario».

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