Per tirar fuori Alessandro Sallusti dagli arresti domiciliari fu necessario, come é noto, l'intervento del presidente della Repubblica che di fatto sconfessó, commutandola in una semplice ammenda, la condanna a quattordici mesi di carcere inflitta al direttore del Giornale per un articolo che non aveva scritto lui. Ora, a caso ormai chiuso, a prendere le distanze da quella condanna é addirittura il presidente della Corte d'appello di Milano, Giovanni Canzio, nel suo discorso inaugurale dell'anno giudiziario.
Questa mattina, a Palazzo di giustizia, alla presenza del presidente del Consiglio Mario Monti, Canzio ha fatto il bilancio di un anno di giustizia a Milano. Un bilancio che farà discutere, perché Canzio - un giurista raffinato ma anche un grande organizzatore -ha sostenuto la necessità di una riforma radicale dell'istituto della prescrizione, proponendo in sostanza che gli orologi si fermino al momento della sentenza di primo grado, e che per i successivi gradi di giudizio sia sufficiente rispettare i tempi di durata dei processi suggeriti dall'Unione europea.
Ma nel lungo discorso di Canzio balza agli occhi anche il passaggio dedicato, senza nominarlo ma in modo inequivocabile, al caso Sallusti. Canzio dice che "si condivide il disagio di fronte al ricorso alla pena detentiva nel delicato settore dell'informazione, la cui libertà potrebbe risultare pesantemente condizionata". Una presa di distanza esplicita, tanto più rilevante se si pensa che fu proprio a la Corte d'appello di Milano a infliggere a Sallusti i quattordici mesi di carcere, al posto della modesta pena pecuniaria che gli era stata inflitta in primo grado.
Una condanna, quella al carcere, che oggi il massimo rappresentante della Corte d'appello sembra considerare lesiva della libertà di stampa.Per punire la diffamazione, dice Canzio, servono "misure pecuniarie e interdettive", cioè la sospensione dall'Ordine dei giornalisti. Ma il carcere no.
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