Caos Pd, Bersani si dimette: resa dei conti in direzione

Direzione infuocata. Bersani: "Costruiamo un partito o un autobus?". Renzi respinge la candidatura a Palazzo Chigi. Malumori sul governo politico: l'ala sinistra si stacca?

Pier Luigi Bersani alla direzione nazionale del Pd
Pier Luigi Bersani alla direzione nazionale del Pd

Dopo aver trasformato l'elezione del nuovo capo dello Stato in un congresso di partito, dove le diverse correnti hanno decapitato l'establishment regolando vecchi conti rimasti in sospeso, il Pd è arrivato alla resa dei conti. Resa dei conti che passa inevitabilmente dalla dimissioni (annunciate venerdì sera) di Pier Luigi Bersani, che lascia il timone del barcone in mano a Enrico Letta. Sarà il vice segretario a traghettare i democrat attraverso il guado delle consultazioni al Quirinale e delle larghe intese.

La conta in occasione del voto di fiducia su chi sosterrà il governo e chi si chiamerà fuori sarà lo show down di una scissione che in pochi, in questo momento, escludono. Al bivio il Pd arriva acefalo. "Quel che è successo non è episodico ma strutturale - ha spiegato Bersani alla direzione del Pd - si deve ripartire guardando fino in fondo l’esperienza che abbiamo fatto fin qui: vogliamo costruire un soggetto politico o allestire uno spazio politico?". Nel rassegnare le proprie dimissioni, Bersani ha ammesso che il partito non è stato in grado di reggere: "Se non rimuoviamo il problema rischiamo di non reggere nelle prossime settimane". Terremotati da tensioni fortissime, i democrat vanno alla ricerca dei "franchi tiratori" che hanno affossato la vecchia leadership del partito e hanno fatto capitolare l'intera segreteria del partito. Il peggio, però, non è ancora passato. Matteo Orfini ha già fatto sapere che voterà contro a un governo di larghe intese e che intende sfidare Matteo Renzi. Intervenendo alla direzione, però, Orfini si è limitato a chiedere ai vertici piddì di "specificare" meglio la proposta da presentare a Napolitano durante le consultazioni. Ma, pur chiedendo innovazione, non ha fatto esplicitamente la proposta di indicare Renzi come premier. Nome che, invece, è stato fatto da Umberto Ranieri. Una candidatura che Andrea Orlando, altro membro uscente della segreteria piddì, è pronto ad appoggiare. "Il nome di Renzi incontra senz’altro il favore del Pd - ha assicurato il capogruppo alla Camera Roberto Speranza - è una personalità di primissimo piano e trova un’assoluta sintonia con la dirigenza del partito".

Il sindaco di Firenze ha frenato scaricando su Letta l'onere di governare con il centrodestra: "La mia candidatura è la più sorprendente e la meno probabile. Non credo che sia sul tappeto". Tuttavia, in caso di chiamata dal Colle, non si sarebbe certo sottratto in modo da potersi cimentare nel programma anti crisi delineato nella campagna per le primarie. Renzi sa che accettando ingaggerebbe una difficile partita a scacchi con Silvio Berlusconi. Tra i "renziani" sono in molti a invitare il sindaco alla prudenza ricordando il precedente di Massimo D’Alema che nel 1998 rilevò il governo da Romano Prodi senza passare per le urne. L’operazione risulta agli occhi di tutti altamente rischiosa. Le larghe intese restano, però, un "problema" da affrontare. "Napolitano ci ha commissariati, non abbiamo alternative", è il ragionamento portato avanti da Letta, fautore della necessità di un governo politico. Sulla sua linea sono anche Dario Franceschini, Anna Finocchiaro e Giuseppe Fioroni. "La politica torni ad assumersi le proprie responsabilità - ha detto la Franceschini - o pensate che ai cittadini possiamo somministrare il nuovo governo tecnico? Ci lapideranno, ma cambieremo ciò che deve essere cambiato". Posizione che non è condivisa dalla sinistra del partito, che va da Sergio Cofferati ai "giovani turchi" fino all’area riunita intorno a Pippo Civati.

In un Pd in balia di correnti e rancori, la direzione ha approvato il mandato alla delegazione che salirà al Quirinale per le consultazioni con il capo dello Stato sulla formazione del governo. Con l’ordine del giorno il democrat avrebbero assicurato "pieno sostegno al tentativo di Napolitano" mettendo a disposizione "le proprie forze e le personalità del partito utili a formare il governo". Resta, però, il timore che neanche il voto a maggioranza in direzione possa frenare un’emorragia di "no" durante la fiducia. Nello schema che gira in ambienti parlamentari, i democrat sarebbero chiamati a "usare" alcune delle proprie punte, magari non più presenti in parlamento e impegnati nella battaglia congressuale. E i nomi che girano sono quelli di Luciano Violante, Walter Veltroni, Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti. Non solo.

Scoperchiare il vaso di Pandora delle candidature significa scatenare di nuovo le ambizioni di tutti i partiti della futura maggioranza con un possibile mercanteggiamento che Napolitano ha chiarito di non voler accettare.

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