Il Pd vuole blindare Bersani E Vendola scansa le primarie

Il leader Sel anticipa una possibile rinuncia: "Non corro a una consultazione di partito". Ma è solo un trucco per garantire qualche voto in più al segretario insidiato da Renzi

Hanno voluto la bicicletta, ora pedalano. Oddio, più che una bicicletta somiglia di più alla ruota per criceti, ma poco cale. Se le primarie del Pd sono diventate un caravanserraglio, non è certo colpa delle primarie, ma del Pd. Che è il partito che sappiamo, ma ha voluto sognare in grande quando importò dagli States questo grande strumento di democrazia diretta. Solo che lì ci sono gli ordinati caucus, e qui gli sguaiati talk show televisivi. Lì i cittadini definiscono parti salienti dei programmi, qui i capi tirano bussolotti; lì scendono in campo i grandi interessi composti delle grandi lobbies (con grandi finanziamenti), qui camarille sotterranee si esercitano nel tiro al piccione.
Il piccione in questione si chiama Pier Luigi Bersani, fa il segretario, e proprio l'altroieri pare abbia avuto uno sfogo con gli intimi. «Guardate che mica stiamo a gonfiare ruote con l'aerosol! Prodi s'è inventato le primarie per mettere a tacere D'Alema e Bertinotti, e gliel'hanno consentito. Veltroni le ha usate per far cadere Prodi, e gliel'hanno fatto fare. Ora che tocca a me... vuoi vedere che sono l'unico che non può fare le primarie come si deve, in questo partito?». Come si deve, ovvero taroccate a dovere. Colore umano a parte, lo sfogo va preso per buono, considerata la mole di «intercettatori» scesa in campo per fermare la corsa del segretario. Bersani deve aver mangiato la foglia, ed è assai preoccupato. Ha capito che un partito così diviso per bande non può che tirargli uno scherzetto fatale, con primarie così scomposte. E ieri s'è visto un primo effetto vistoso dei timori: Nichi Vendola ha ingranato la retromarcia. «Serve un chiarimento, sono primarie del Pd? In tal caso non sono interessato». Pretesto politico, si dice, escogitato dopo un'interessata pressione di Bersani nei giorni scorsi affinché non gli sottraesse voti nel duello all'ultimo sangue contro Renzi. Il leader di Sel mette il carro davanti ai buoi, e per la prima volta accampa persino il problema personale di «essere oggetto di inchieste della magistratura, prima devo risolverli». Campa piccione. Anche se ufficialemente il leader Pd ridimensiona: «Vendola è una persona specchiata e sarà certamente un protagonista delle primarie. Le regole le decideremo insieme».
Aiutino (in)sperato a parte, Bersani si vede preso dai turchi, e neppure giovani. Ma non può più tirarsi indietro, e resta poco convinto della soluzione di un doppio turno reclamata dai suoi più agguerriti supporter (in primis, stavolta, proprio i «giovani turchi» di Orfini e Fassina). Il doppio turno farebbe piazza pulita delle candidature che ormai spuntano come funghi e sbriciolano una maggioranza già precaria. È la somma che fa il totale, avrebbe detto Totò. Lo «zero virgola» di tal Laura Puppato (partito delle donne) si aggiunge all'1% di Bruno Tabacci (rutelliani). E poi al 6-7 del giovane Pippo Civati (l'ultimo a dirsi pronto a scendere in campo, contro Renzi perché «autoreferenziale»), all'1-2 del candidato socialista (Spini ci sta pensando e Nencini pure, in una singolare gara a chi prende di meno), all'1-2 del milanese Stefano Boeri. Sempre che non si decida all'ultimo momento Rosy Bindi (un 9-10%), con un candidato dell'Arcigay e uno del circolo della caccia.
«Troppi, la ditta ha bisogno di una regolata», lamenta il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, dando voce al Botteghino. «È una babele, basta», conferma Beppe Fioroni. «Rischiano di allontanare la gente, fermiamo le macchine», invoca il deputato Farinone. «Ridicola moltiplicazione di candidati interni al Pd, si rischia la guerra totale», ribadisce Merlo. «Qualcuno si dia una regolata, non ridicolizziamo le primarie», gli fa eco Chiti. «È insensato fare le primarie se non c'è una legge elettorale e non si capisce se ci sarà una coalizione», invita tutti alla ragione Antonio Di Pietro. Inequivocabile segno di una situazione sfuggita di mano.
Da qui si arriva al «stanno inquinando le primarie», grido di dolore da Fassina a Nencini. Fatto è che il partito è sulla giostra e sulla bocca di tutti. Chiunque dice la sua, non solo Berlusconi (che, in fondo, è il principale leader rivale). Eppure, se kermesse democratica dev'essere, che lo sia.

Rotondi rileva come con Renzi si confermi che «pure per rifondare la sinistra ci vogliono i dc», Segni dice che lo voterebbe senza meno, Morando lo farà, il leghista Boso che «sotto il cerone c'è solo demagogia», De Magistris che «è troppo liberista», il postcomunista Sposetti che «è figlioccio di Berlusconi cresciuto con Drive in». La candidatura del sindaco di Firenze è un sasso tirato nello stagno, si capisce. Nessuno però parla del povero Bersani. E mo', come s'esce da stà palude?

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