Il tempo non è galantuomo. Quello di Letta sta finendo per colpa del Pd. È chiaro ormai che la sinistra si prepara a espellere il più in fretta possibile Berlusconi dal Senato. Non ci sono più veli e ipocrisie, non ci sono neppure più chiacchiere e trattative. La decadenza del leader Pdl significa la fine immediata del governo. Solo il premier continua a credere nel futuro. Berlusconi per domani ha convocato i gruppi parlamentari del suo partito. È un segnale. I ministri del Pdl, però, non dovrebbero aspettare che sia il grande capo a dare il via alla svolta decisiva. Tocca a loro dire qualcosa. Spetta a loro manifestare con atti concreti il disagio di questa situazione. Il Pd ha fatto la sua scelta. Non tutti nel partito sono convinti che sia quella migliore, ma alla fine prevale il timore per le reazioni dei fondamentalisti antiberlusconiani, Repubblica in testa. Fatto sta che la scatola si è rotta. E i ministri berlusconiani devono dire con chiarezza da che parte stanno. Non serve più temporeggiare. È inutile traccheggiare. Non c'è più spazio per terze vie sotterranee e per equilibrismi tattici. Questa partita si decide andando alle elezioni, e forse anche il buon Napolitano deve farsene una ragione. Sono tanti gli errori fatti in questi ultimi anni. Uno su tutti: votare la legge Severino che è servita a salvare Penati e a condannare il leader del Pdl all'esilio politico. Qualcosa, a quanto pare, non ha funzionato.
Non è il caso neppure di improvvisare diaspore, alternative, cordate generazionali e il solito gioco di chi spera di salvare carriera, poltrone e futuro politico. La sindrome da teatro Olimpico, quando in molti cantarono il de profundis di Berlusconi, sarebbe un errore strategico. Il Pdl mai come adesso deve mostrarsi compatto, tutelare il suo leader e prepararsi alla sfida elettorale. Il rischio, altrimenti, è di disperdere tutto il patrimonio del centrodestra e accontentarsi di un ruolo marginale per anni e anni, elemosinando alla sinistra un diritto alla sussistenza. Non è questione più di falchi o di colombe, o di altri animali esotici, ma di sopravvivenza politica.
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