Roma Volendo sintetizzare alla sua maniera, luoghi comuni e proverbi della zia compresi, si dovrebbe constatare: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
La gatta Antonio Di Pietro - carriera costruita sui roghi e il lardo di Tangentopoli - da qualche tempo è tornato a percorrere sentieri di guerra: questioni di visibilità e di concorrenza lo inducono a tenere alta la tensione nel centrosinistra. Così il presidente Giorgio Napolitano è ora nel suo mirino. Motivo della polemica, l’intricata vicenda della trattativa Stato-mafia e le intercettazioni delle telefonate tra il Colle e Nicola Mancino.
Nell’ultima intervista, rilasciata al settimanale Oggi , l’ex Pm arriva in sostanza a dare del ladro al Presidente per via dei trascorsi di uomo di spicco del Pci. Affermazione estrema, ai limiti del vilipendio, che Di Pietro perciò esterna per via indiretta. Anzi, non esitando a pararsi dietro la figura del l’arcinemico Bettino Craxi, cui finisce per dare ragione, pur di agguantare l’obbiettivo. «Ci sono due Giorgio Napolitano - dice - quello che ci racconta oggi la pubblicistica ufficiale, il limpido garante della Costituzione, e quello che raccontò l’imputato Bettino Craxi in un interrogatorio formale, reso nel 1993, durante una pubblica udienza del processo Enimont, uno dei più importanti di Tangentopoli. Craxi descriveva quel Napolitano, esponente di spicco del Pci nonché presidente della Camera, come uomo molto attento al sistema della Prima Repubblica, specie coltivando i suoi rapporti con Mosca. Io credo che in quell’interrogatorio formale, che io condussi davanti al giudice, Craxi stesse rivelando fatti veri, perché accusò pure se stesso e poi gli altri di finanziamento illecito dei partiti. Ora delle due l’una: o quei fatti raccontati non avevano rilevanza penale oppure non vedo perché si sia usato il sistema dei due pesi e delle due misure».
Senonché esistono anche due Antonio Di Pietro.Uno,l’integerrimo accusatore delle malefatte pubbliche, che va avanti senza guardare in faccia a nessuno (così, almeno, i suoi fan devono raffigurarselo). L’altro, il politico spregiudicato e un po’ straccione che non esita a estrapolare fuori dal contesto le parole di un morto, sulla cui vicenda peraltro ha costruito la carriera, pur di screditare il nemico del momento. Ma quest’ultimo, il Di PietroMister Hide , commette uno sbaglio peggiore, accorgendosi vent’anni dopo che il Pci era al centro di un complesso giro di finanziamenti, sui quali la Procura di Milano dell’epoca non ha mai indagato come poteva e doveva. «Due pesi e due misure», ipse dixit. Benvenuto Tonino.
Ma, accecato dal dito ammonitore, Di Pietro non s’avvede della luna che rischiara il passato. L’ex Pm sta infatti confessando, a vent’anni di distanza, che quei fatti citati da Craxi durante il processo Enimont, a lui sembrarono «penalmente rilevanti». Attenzione: Di Pietro non dice che, ripensandoci dopo, con il senno del poi, s’è fatto un’idea diversa da allora.No,argomenta che i fatti rivelati da Craxi gli parvero veri perché il leader del Psi «accusò pure se stesso...». Ciononostante, il Pubblico Accusatore ben si guardò dall’avviare un’azione penale sulla notizia criminis resagli in un’aula dibattimentale, luogo che più sacro non si potrebbe, come la legge avrebbe imposto.
Craxi spiegò come funzionava il sistema e per quali motivi nessuno poteva tirarsene fuori. Tra gli esempi, citò quello dell’allora presidente della Camera: «Sarebbe come credere - disse - che Napolitano, ministro degli Esteri del Pci per tanti anni, che aveva i rapporti con tutte le nomenklature dell’Est a partire da quelle dell’Urss, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i Paesi dell’Est. Cosa non credibile! ». Cosa ancora più incredibile, il Di Pietro-due non avvertì alcun senso del dovere, alcun imperativo categorico.
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