Un po' di sofferenza aiuta a crescere

È l'istituto-famiglia a doversi responsabilizzare, senza che lo Stato debba intervenire per sopperire alle sue manchevolezze e per colmare le sue spaventose lacune. Lo Stato non deve educare. Padre e madre hanno il compito di farlo

Un po' di sofferenza aiuta a crescere

Gentile Direttore Feltri,

per me il servizio militare è stato un dramma. Ero uno spirito libero (60 anni fa ahimè), tanto che a 18 anni me ne sono andato di casa e col lavoretto che facevo riuscivo giusto a mangiare pane e mortadella, però quella da 40 lire l'etto perché quella da 60 lire era troppo cara. Il servizio militare, dicevo, mi ha fatto perdere 16 chili in tre mesi: alla mia prima licenza la mia ragazza mi ha riconosciuto mentre arrivavo perché ero vicino ad un amico.

Dico questo perché oggi non vedo altro che piagnistei per questi poveri ragazzi: non leggono, non vanno a teatro, non viaggiano (ah se ai miei tempi ci fossero stati i voli low cost!) e via di questo passo. Il problema per i loro genitori, ammesso che volessero affrontarlo, sarebbe improbo: come spiegare ad un ragazzo o a una ragazza che un libro è meglio di un like? Perciò penso che sarebbe bene instaurare non un servizio di leva (utile solo a capire che persone che valgono meno di te possono comandarti) ma un servizio civile obbligatorio in modo che i giovani possano affrontare per tempo la realtà della vita e diventare più maturi. Ma ho la sensazione che se un governo lo introducesse sentiremmo tutti i difensori dei giovani, mamme in primis naturalmente, piangere a dirotto: meglio webeti e felici che maturi affrontando la vita.

Roberto Bellia

Vermezzo con Zelo (Milano)

Caro Roberto,

per me il servizio militare ha costituito una esperienza che ricordo con gioia e tenera malinconia. Lo svolsi a Roma, che negli anni Sessanta era una sorta di paradiso, era l'epoca della cosiddetta «dolce vita» e per me fu dolce davvero, sebbene nei primi mesi non disponessi nemmeno dei quattrini per permettermi una sigaretta. Anche allora ero un tabagista accanito. Ad ogni modo, come te ritengo che sia imperante una generale povertà educativa, non intendo formativa o scolastica o culturale (cosa che sussiste), ma proprio educativa, dovuta all'incapacità innanzitutto della istituzione-famiglia di fornire regole, di imporre limiti, di stabilire divieti. Si crede che i ragazzi debbano acquisire da sé le norme basilari del vivere civile, crescendo e vivendo. Ma un ragazzo è un foglio bianco che necessita di prescrizioni, di «no», di veti, alla stessa maniera in cui ha bisogno di essere nutrito. Egli non si autoregola.

Tuttavia, non possiamo pensare di risolvere tutta la faccenda ripristinando il servizio di leva o, come suggerisci, un servizio civile obbligatorio. È l'istituto-famiglia a doversi responsabilizzare, senza che lo Stato debba intervenire per sopperire alle sue manchevolezze e per colmare le sue spaventose lacune. Lo Stato non deve educare. Padre e madre hanno il compito di farlo. Ma le figure genitoriali

oggigiorno sono figure sbiadite, deboli, inferme. Sommergono di cure e attenzioni, eppure questo non realizza il bene del fanciullo, che, iperviziato, ipercoccolato, iperprotetto, si trasforma in un bambino despota, poi in un adolescente tirannico e, infine, in un adulto inetto, non abile nello stare al mondo, privo di senso del limite.

Siamo stati felici poiché abbiamo sofferto, abbiamo acquisito il rispetto delle regole poiché ci sono state imposte, ci siamo adoperati per comprarci il pane perché siamo stati affamati, abbiamo imparato a dirigere perché qualcuno ha diretto noi, abbiamo appreso a rialzarci in quanto siamo caduti tante volte e non c'era nessuno alle nostre spalle pronto ad evitarci il crollo. Preservare continuamente i giovani significa bloccarne il naturale sviluppo. Giustificarli sempre implica l'impedirgli di farsi responsabili delle loro azioni. Io non sono stato un padre violento, rigetto la forza bruta, però sono stato senza dubbio un babbo severo, temuto dai propri figli, rigido su certe cose. Ciò che temevano non erano le botte, ma il rimprovero aspro. Così rigavano dritto. Il progressismo contemporaneo, fondato sulla cultura della vittimizzazione, ha prodotto ingenti danni ed è logico che si opponga alla leva obbligatoria o al servizio civile obbligatorio. Per i progressisti si tratterebbe di violenze gratuite da parte dello

Stato. Eppure io penso proprio che ai fanciulli farebbe bene impiegare tempo ed energie nelle case di riposo, nei gattili, nei canili, nelle mense per i senzatetto, nella pulizia di strade, parchi, spiagge. Allora sì che potrebbero acquistare il rispetto nei confronti del prossimo, di qualsiasi forma di vita, di chi è anziano, del bene pubblico. Se non ci metti fatica e se non vedi con i tuoi occhi, non impari mai.

Forse che potremmo in questa maniera combattere il bullismo, il dilagare del fenomeno delle baby gang, contenere il problema delle carceri minorili sempre più gremite, limitare l'aumento del numero di ragazzini che se ne vanno in giro armati e che si ammazzano tra di loro? Beh, io credo di sì.

Io credo che a questi giovanissimi serva un po' di sofferenza, quel sano sacrificio che un tempo era fisiologico ed inevitabile, che conduceva a darsi da fare e che poi ha lasciato il posto ad una noia endemica, la quale troppo spesso sfocia in atti di violenza atroci oltre che nel consumo di droghe di ogni tipo. Facciamoli patire. Per salvarli.

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