Il pasticcio dei pm su Ruby: un caso, due teoremi

La Procura ha sprecato risorse nel tentativo di arrivare a una doppia condanna

Il pasticcio dei pm su Ruby: un caso, due teoremi

Milano - Il processo Ruby 1 e il processo Ruby 2 sono arrivati a un passo dalla conclusione praticamente in contemporanea: a riprova che spezzare in due il processo - da una parte il presunto «utilizzatore» di ragazze Berlusconi, dall'altra i presunti procacciatori e «assaggiatori» Fede, Minetti e Mora - è stato solo un colossale spreco di risorse. E lo sdoppiamento del processo rischia di avere ora una conseguenza ancora più grave. Su un capo d'accusa, infatti, i processi si sovrappongono perfettamente: l'ipotesi che tra Kharima el Mahroug e Silvio Berlusconi ci siano stati contatti ravvicinati qualificabili come sesso. Però, chiamati a giudicare lo stessi identico fatto, i due tribunali potrebbero arrivare a conclusioni diverse se non opposte. E l'accertamento della verità (che, come ricordato venerdì dai pm Sangermano e Forno, «è l'unico obiettivo del processo») andrebbe in quel caso a farsi benedire, perché di verità ne verrebbero accertate due. Inconciliabili tra di loro.

In teoria, il primo ad arrivare a conclusione dovrebbe essere il processo a carico di Silvio Berlusconi, per il quale l'accusa ha chiesto sei anni di carcere e la interdizione perpetua dai pubblici uffici: oggi il tribunale darà la parola ai legali del Cavaliere, Niccolò Ghedini e Piero Longo; l'udienza successiva è fissata per il 24 giugno, e dovrebbe essere il giorno della sentenza. Il processo a carico degli altri tre imputati (sette anni di condanna richiesti) riprenderà venerdì prossimo e, se non ci saranno inciampi, andrà a sentenza il 12 luglio. Ma con che animo? Se nel frattempo i giudici del primo processo avessero stabilito che Berlusconi non fece sesso con Ruby, i giudici del secondo avrebbero cuore di condannare gli altri imputati? E se invece il Cavaliere fosse stato condannato, come si potrebbero assolvere gli altri tre? È vero che, in mezzo a un mare di prove identiche, i due tribunali hanno un tassello diverso: i giudici di Berlusconi non hanno voluto interrogare Ruby, e di quello che Ruby ha detto nell'altro processo (e che magari hanno letto sui giornali) non possono tenere conto. Ma la sostanza non cambia: una sentenza condizionerà inevitabilmente l'altra.

A rendere ancora più complesso il quadro, c'è anche la possibilità, tutt'altro che remota, che l'ordine delle sentenze si inverta. Oggi Niccolò Ghedini e Piero Longo potrebbero chiedere al giudice Giulia Turri, presidente del tribunale che celebra il processo Ruby 1, di non emettere la sentenza fino a quando, verosimilmente in autunno, le Sezioni Unite della Cassazione non avranno fornito una interpretazione autentica e vincolante della nuova legge sulla concussione, partorita dal governo Monti. Capire cosa preveda davvero quella legge è sforzo non da poco; ma d'altronde è essenziale per giudicare Berlusconi per la faccenda della telefonata in questura. Se il giudice Turri decidesse di fermare le bocce in attesa del pronunciamento della Cassazione, ad emettere per prima la sentenza sul caso Ruby, e a dare in qualche modo la «linea» sui contatti tra il Cavaliere e la fanciulla, sarebbe a quel punto il giudice Anna Gatto, titolare del processo a Fede, Mora e Minetti.

Insomma, un ingorgo dove non si capisce chi sarà a dirigere il traffico, ma che in un modo o nell'altro arriverà nel giro di qualche settimana a mettere un punto fermo sulla vicenda che da quasi tre anni scuote la politica italiana. Silvio Berlusconi, soprattutto dopo la requisitoria dell'altro giorno al processo Ruby 2, dalla quale (anche più di quanto intendessero i pm) si è sentito pesantemente e indirettamente attaccato, non nasconde il suo pessimismo sull'esito della faccenda.

Ma in Procura sanno bene che l'obiettivo di una condanna del Cavaliere passa per la dimostrazione di un assunto basato solo su una prova logica: Berlusconi sapeva che Ruby era minorenne perché Emilio Fede «non poteva non averglielo detto». Basterà?

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