Se si tornerà a votare prima dell'estate - come molti indicatori suggeriscono - Matteo Renzi si candiderà alla presidenza del Consiglio. Con o senza primarie. Con o senza il Pd. La decisione è stata presa nei giorni scorsi, quando il sindaco di Firenze s'è convinto che il vero «piano A» di Bersani siano le elezioni anticipate, per tentare la rivincita senza cedere la leadership. Ed è stata comunicata al ristretto gruppo di fedelissimi che si sta attrezzando per l'impresa.
Lo scenario ideale, per Renzi, prevedeva la nascita di un «governo del presidente» capace di traghettare alla meno peggio il Paese fino alle prossime elezioni, in autunno o al più tardi in primavera. In questo caso ci sarebbero le primarie e, diversamente dall'anno scorso, un pezzo significativo della maggioranza bersaniana potrebbe schierarsi con il rottamatore: i veltroniani (Renzi due settimane fa ha incontrato riservatamente Veltroni nella sua casa di Roma), probabilmente i lettiani, forse persino parte dei Giovani turchi. Altri, come D'Alema, non farebbero le barricate.
Ma la nomina dei dieci saggi ha sovvertito l'agenda politica, anteponendo la scelta del presidente della Repubblica alla formazione del nuovo governo. E le elezioni si sono fatte, paradossalmente, più vicine e più lontane. Più vicine, perché una forzatura di Bersani sul Quirinale farebbe rapidamente precipitare la legislatura. Ma anche più lontane, perché un ipotetico accordo Pd-Pdl sul prossimo capo dello Stato spianerebbe la strada a un'intesa anche sul governo, la cui durata potrebbe non essere breve. Qualche amico del sindaco di Firenze già fiuta la trappola: in fondo, sia Bersani sia Berlusconi hanno un interesse comune (condiviso peraltro anche da Grillo) nel tenere Renzi al palo, perché la discesa in campo sarebbe pericolosa per entrambi.
In attesa di capire che cosa succederà nelle prossime due-tre settimane, Renzi ha comunque pronto un piano per le elezioni a giugno. Dal Pd è già venuta la prevedibile levata di scudi: non c'è il tempo per nuove primarie, né per una modifica statutaria, e dunque sarà Bersani a guidare di nuovo la coalizione.
Ma questa volta Renzi non farà buon viso a cattivo gioco. Non ascolterà gli appelli all'«unità del partito», né si metterà in coda per il prossimo turno. E il perché lo ha spiegato, tra le righe, nel suo intervento di ieri alla Camera del lavoro di Firenze: «Non c'è più tempo. La politica continua a proporre soluzioni che poi non riesce a concretizzare», ha detto. E poi, perché il discorso fosse chiaro, ha spiegato che bisogna «guardare al futuro non solo con gli occhi dei reduci ma anche con quello dei pionieri».
Insomma: al cospetto di una crisi politica senza uscita, che s'è innestata su una crisi economica e finanziaria senza precedenti, al Paese serve una nuova leadership capace di arrestare l'ondata grillista e ricostruire un sistema politico virtuoso. Così Renzi argomenterà la sua discesa in campo, aggiungendo che i vecchi partiti sono ormai involucri vuoti, prigionieri dei loro attempati dirigenti, la cui rottamazione è essenziale per far ripartire l'Italia. E proponendosi, di fatto, come l'alternativa a Grillo sul suo stesso terreno (il rinnovamento radicale della classe politica), ma con il vantaggio di poter offrire un'opzione di governo concreta a un elettorato fra le cui pieghe la rabbia sta lasciando il posto alla paura.
Intorno a Renzi si formerebbe, nei piani del sindaco, una coalizione inedita, fortemente trasversale e priva di sigle di partito. Il nome non c'è ancora, ma il senso è quello di una «lista nazionale» che raccolga forze, competenze e culture oggi congelate nel Pd e nel Pdl, o provvisoriamente transitate in Scelta civica, e disposte ad appoggiare una proposta di governo innovativa e potenzialmente maggioritaria, capace di pescare in tutti gli elettorati (incluso il Movimento 5 stelle). Destra e sinistra, sostengono i renziani, sono diventate sinonimo di berlusconismo e antiberlusconismo: ma questa contrapposizione sempre più sterile ha prodotto l'impasse odierna e il trionfo di Grillo. La «lista Renzi» sarà invece la tabula rasa su cui nascerà un sistema nuovo di zecca.
Il progetto è ambizioso e le probabilità di successo non sono altissime. E nessuno sa come andrà a finire la battaglia per il Quirinale, né se e quando nascerà un governo. Ma da oggi si può dire che Renzi ha abbandonato il Pd al suo destino.
di Fabrizio Rondolino
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