Quando la sfida del leader è mollare

Da Silla a Churchill, le uscite in punta dei piedi dei grandi della Storia. Il Cav confida ai suoi ospiti: "La Thatcher mi disse che il momento più bello è ritirarsi"

Quando la sfida del leader è mollare

«Alcuni leader europei mi hanno confessato che il momento più bello della loro vita politica è stato quando si sono ritirati». Berlusconi è in Brianza, davanti a lui ci sono una cinquantina di ospiti, stanno visitando villa Gernetto. È la giornata del Fai ed è qui che senza troppa enfasi butta giù questa frase sulla libertà dal potere. Non è la prima volta che lo fa. Racconta che fu Margaret Thatcher a sussurrarglielo. Poi ci sono gli altri. Blair non rimpiange certo il numero 10 di Downing Street, Clinton ha lasciato il giocattolo alla moglie, Aznar si gode un lungo futuro da post premier, Gorbaciov ha girato il mondo come conferenziere ben pagato e c’è chi ricorda a Montecitorio un D’Alema con il sorrisetto da mezzo pensionato lamentarsi dei viaggi meravigliosi che fa da quando la bottega pesa sulle spalle di Bersani. Fare un passo indietro o di lato ti fa respirare. Se ne sta accorgendo anche re Giorgio, sua maestà Napolitano, il primo presidente presidenzialista della Repubblica italiana. Che fatica governare con Cgil, anziani amici di partito, nuovi alleati, vecchi nemici. Che fatica anche se governi per interposta persona. Poi dici basta e sospiri.
Deve essere come scendere da un aereo, l’idea di stare con i piedi per terra all’improvviso ti sembra rassicurante. Quando Andreotti sosteneva che il potere logora chi non ce l’ha sapeva di dire una facezia, che per essere davvero arguta è sempre una mezza verità. La realtà è che dopo un po’ il trono di spade diventa maledettamente scomodo. È inebriante, ma scomodo. Non bisogna leggersi tutta la saga di R. R. Martin per capire che il gioco della politica non è a costo zero. Quando vinci pensi di poter governare, poi passi buona parte del tempo a resistere a chi, vicino o lontano, di lato o di fronte, ha come unico obiettivo quello di farti cadere.
L’arte più difficile del potere è arrangiare una buona difesa. Nelle dittature quello che ti frega è la paura e il sospetto. Controlli tutto perché non ti fidi di nessuno. Non ti fai una vacanza perché non sai se al ritorno trovi la poltrona occupata e le tue statue mozzate. Quelli come Coriolano sono pochi. Arrivano, risolvono il problema e tornano in campagna. Monti giura che farà così. Non tutti ci credono. Il più sorprendente fu Lucio Cornelio Silla, anni di guerra civile e terrore, con liste di proscrizione e beni strappati agli oppositori, poi un giorno dice basta, prende quattro stracci e se ne va a banchettare nella villa di campagna. Si narra di un passante che mentre andava via lo insultò, sfogando rabbia e rancore. Silla non disse nulla, ma confidò a un amico: «Imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà più alcun dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere».
Nelle democrazie lo stress è diverso. Winston Churchill diceva: «La democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato». Ma anche lui se ne è andato senza lamentarsi troppo. Pensate. Uno vince la guerra delle guerre, quella dove si combatte dal Pacifico al Mediterraneo, mette in ginocchio la Germania, costringe Hitler al suicidio, si vanta di aver salvato la libertà dal più feroce totalitarismo, si presenta davanti agli elettori e questi scelgono Attlee. Churchill si fa da parte, si mette a scrivere libri, rivince sei anni dopo, nel ’51, e poi nel 1955 passa la mano. E campa sereno per altri dieci anni, nel ruolo rilassante del «grande uomo».
Aveva capito tutto Italo Calvino con Il re in ascolto.

«Tutta la tua vita di prima non è stata altro che l’attesa di diventare re; ora lo sei; non ti resta che regnare. E cos’è regnare se non quest’altra lunga attesa? L’attesa del momento in cui sarai deposto, in cui dovrai lasciare il trono, lo scettro, la corona, la testa».

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