«Ammetterlo fa molto male eppure a dieci anni dal suo assassinio l'Italia s'è dimenticata di Fabrizio Quattrocchi. Gli hanno dedicato qualche piazza, ma poi tutto è finito lì. Di Fabrizio non c'è più memoria. Nessuno sembra volerlo ricordare». Dieci anni dopo esser stato barbaramente trucidato in Irak, dieci anni dopo essersi strappato il bavaglio e aver urlato ai propri assassini Vi mostro come muore un italiano, Quattrocchi rischia di esser dimenticato dalla stessa patria a cui ha dedicato gli ultimi istanti della propria vita. Per il governo e le istituzioni italiane Fabrizio Quattrocchi è ormai un illustre sconosciuto. Un caduto scomodo e dimenticato. Un morto indegno d'esser ricordato. Come ricorda in quest'intervista al Giornale il suo compagno di prigionia Salvatore Stefio, oggi nessuna istituzione ricorderà Quattrocchi, assassinato il 14 aprile di dieci anni fa dopo esser caduto nelle mani di gruppo di insorti iracheni assieme a Maurizio Agliana e Umberto Cupertino e allo stesso Stefio. «Poco fa ho chiamato Maurizio Agliana che è in contatto con la sorella di Fabrizio e gli ho chiesto se sa di qualche manifestazione ufficiale per il decimo anniversario della morte. Anche secondo lui autorità e istituzioni non hanno organizzato nulla. Fa niente, ci siamo abituati. Lo ricorderemo io, Maurizio e Umberto Cupertino riunendoci con la sorella davanti alla tomba di famiglia a Genova. Sarà una cerimonia intima e privata. Del resto il mancato ricordo rientra nel clima di questo paese. Non è neppure una novità».
Eppure Quattrocchi è medaglia d'oro al valore civile decorato da Azeglio Ciampi.
«In Italia molti ci reputano solo mercenari interessati ai soldi. Penso sia un atteggiamento motivato politicamente».
La Corte d'Assise di Roma ha anche sentenziato che l'esecuzione non fu un atto di terrorismo.
«Lo so e ne sono rimasto indignato. Ancora non mi spiego come sia stato possibile pronunciare quella sentenza. Non trovo motivazioni logiche».
Cosa successe quel giorno?
«Non immaginavamo nulla. Erano passate 48 ore dalla cattura ed eravamo stati trasferiti in una seconda prigione. Eravamo seduti a terra in una stanza completamente vuota e spoglia con una finestra oscurata da una pesante tenda. Ci avevano già prelevato per interrogarci, quindi quando vennero a prenderlo non pensavamo volessero ucciderlo».
Qual è l'ultimo ricordo di Fabrizio?
«Ricordo il suo sorriso. Quando vennero a prenderlo lui si alzò e ci salutò con un sorriso. È l'ultima immagine di lui. Me la porterò dentro per sempre».
Quando capiste che era stato ucciso?
«Solo una volta libero appresi le circostanze della sua morte. Le raccontò chi fece arrivare all'intelligence le coordinate della nostra prigione. Gli altri ci avevano sempre detto di averlo rilasciato. Quando mi dissero di quell'ultima sua frase pronunciata davanti agli assassini non faticai a crederci. Una sola settimana con lui mi è bastata per capire di che pasta era fatto: generoso, pronto a sacrificarsi per quello in cui credeva».
Perché proprio lui?
«Me lo sono sempre chiesto. Lui non era stato né irruente, né provocatorio. Si comportò come tutti noi. Forse presero lui perché aveva il tesserino rilasciato dalle autorità americane mentre noi non avevamo ancora ritirato i nostri. Forse presero il primo che capitava perché avevano delle rivendicazioni politiche e volevano dimostrare di far sul serio».
Un misterioso Yussuf raccontò al «Sunday Times» di aver partecipato all'assassinio di Fabrizio. Pensa lo stiano ancora cercando?
«Durante il primo periodo della prigionia era sempre con noi. Parlava un discreto italiano e non era iracheno. Probabilmente veniva dal nord Africa e sembrava conoscere l'Italia. Abbiamo raccontato tutto ai carabinieri, ma non so se sia mai stato identificato. E non so se qualcuno lo stia cercando».
Ha mai guardato il filmato dell'uccisione?
«L'ho guardato e ho provato tanta rabbia, ma adesso è diverso.
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